Patente commerciale di libera navigazione sull'Adriatico 1717

Il 2 giugno 1717, l'imperatore Carlo VI promulgava la "Patente commerciale di libera navigazione sull'Adriatico" spezzando così definitivamente il monopolio della Repubblica di Venezia.
Pubblichiamo il resoconto di Pietro Kandler, apparso su "L'Istria" del 31 ottobre 1846.


Avviamento della navigazione e del commercio nell'Austria Interiore.

Nei precedenti numeri di questo foglio abbiamo dato il primo decreto imperiale emanato da Carlo VI per introdurre e proteggere la navigazione ed il commercio nell'Austria interiore, e lo abbiamo pubblicato con piacere, dacchè se al Dr. G. C. Platner non fosse riuscito di ricuperarlo, comperandolo, forse passava gran tempo prima che fosse conosciuto fra noi a chi desidera di conoscere per quali vie si fosse attivato un movimento che oggidì ci sembra facile e naturale, ma che all'invece era difficile, e soggetto di moltissime contraddizioni. Ricorderemo alcune condizioni di quei tempi, cioè del 1717.
La Repubblica di Venezia vantava il dominio del mare Adriatico; e facilmente poteva sostenerlo, dacchè padrona di un'estremità del golfo di Venezia, padrona delle coste istriane e dalmate lungo le quali è la via naturale marittima, padrona di Corfù (e lo fu di Otranto e Gallipoli) all'imboccatura del mare, poteva colle sue flottiglie chiuderlo e custodirlo tutto. V'ha chi pensa che il dominio fosse stato a lei conceduto da papa Alessandro III nel secolo XII e fosse preservato colla solennità annua dello sposalizio del mare che facevasi il dì dell'Ascensione di N. S. con molta pompa, alla presenza degli ambasciatori di tutta Europa. Altri però, e fra questi il governo medesimo, pensavano spettante il dominio per altro titolo, per quel diritto di spiaggia che alcuni giureconsulti estendevano a 40 e fino a 100 miglia nel mare, per la purgazione dei mari dai pirati, operata in tempi remoti, pel consenso dei comuni marittimi nell'Adriatico che pagavano tributo a Venezia, ed eransi obbligati di unirsi allo stolo (flottiglia di spedizione) destinato a purgare di quando in quando il golfo. Noi pensiamo che deducessero questo diritto storico dal dominio degli imperatori bizantini sull'Adriatico, dei quali i Veneti furono gli eredi (se è lecito dire così), e più che tutto dal possesso.
Trieste annoverava nei suoi fasti municipali l'aver dato il nome al Golfo che fra Pirano e Grado s'interna nelle intimità dell'Adriatico; annoverava nei suoi fasti l'averne conservato fino a tempi recenti il nome (sembra però non essere stata conscia che il nome accennava ad un dominio delle acque); chè il mare fu considerato, non meno della terra ferma, formante territorio; Trieste aveva promesso tributo al doge Enrico Dandolo nel 1202 allorquando dirigevasi coi crocesegnati alla conquista di Costantinopoli, e lo pagava anche dopo essersi data alla Serenissima casa d'Austria, cento orne cioè di vino bianco di Prosecco; e lo pagò fino al secolo XV a tempi di Massimiliano, che molte collisioni ebbe colla Repubblica. Allorquando in questo tempo si volle venire in chiaro del titolo, i Veneti adducevano essere ciò in compenso di alcuni benefizi di commercio e di navigazione che i Triestini godevano in Venezia, nella quale ebbero propria riva per barche; però il governo austriaco non sembra avere creduta la cosa; il tributo dovette cessare, non cessò del pari la navigazione nel golfo. La quale navigazione era soggetta alle seguenti discipline. Non era lecito inalberare nell'Adriatico altra bandiera che la veneta; i Triestini che non potevano inalberarla, navigavano senza bandiera, in condizione di protetti. Non era lecito di uscire dal porto senza licenza del Rettore di Capodistria, dal quale dovevasi impetrarla e la si dava per iscritto pagando le sportole prescritte e le vietate. La licenza non davasi che ben conoscendo il luogo di destinazione ed il carico, e vi era modo di adoperare soprusi. Articoli di privativa veneta non si ammettevano alla navigazione, specialmente sale. Alle navi destinate a custodia del golfo (e v'era legno grosso a Pirano, altro al Quieto) dovevansi permettere le visite; al capitano del golfo dovevasi prestare obbedienza. Il navigare senza licenza veneta e senza pagamento di tasse era punito almeno colla confisca della nave e del carico, seppure non si presumevano corsari. Però d'altro canto (e si dica la verità) godevano i naviganti sicurezza contro pericolo di corsari, pericolo che noi abituati a tempi odierni appena sappiamo valutare. L'acqua in tutto l'Adriatico era dominio di S. Marco, a segno che se testa coronata o principe di sangue reale dovesse attraversarlo, non su altri legni il faceva che su legni veneti, od almeno scortato da squadra veneta. Non era sì facile nel 1717 di proclamare libero il mare Adriatico contro la pratica di tanti secoli, meno da un principe che non era in guerra coi Veneti, e che non poteva ragionevolmente porsi in guerra colla Repubblica per cose che in allora non si sarebbero riguardate siccome ragionevole motivo di ostilità. Era quindi necessaria assai prudenza e saviezza per rivendicare un diritto sì naturale del principato; e Carlo VI, che era l'ultimo degli Absburgici, trepidava per la figlia sua chiamata a succedergli, quantunque la figlia sua siasi poi mostrata più che uomo per saggezza e per forza d'animo in difficili circostanze.
Carlo VI aprì i mari ai sudditi suoi non per manifesto di guerra, ma per quel diritto che è naturale di principe non astretto da patti positivi e speciali. La patente che pubblichiamo è l'atto solenne che segna la nuova éra, e la rarità sua sembra indicare che seguisse piuttosto per ordine ad offici, che per prochiama affisso dovunque; il che viene confermato dalle mosse che prese il governo veneto. E comunque in quella patente non entrasse in contrastare ad altro potentato il dominio dell'Adriatico, esso parlava veramente da principe, certo del suo diritto; e l'assicurazione data di guarentire i sudditi ed i protetti contro le molestie di altre potenze, era un parlare chiaro a chi intendeva le cose. Per quali vie quella patente avesse il suo effetto, come avvenisse che, ad onta della personale perseveranza dell'imperatore, appena Maria Teresa inalberasse l'austriaco vessillo sui legni mercantili, non è cosa da dirsi oggidì, contenti noi di dare soltanto il documento che apre la storia della prosperità mercantile dell'impero e di queste regioni meridionali.
Da "L'ISTRIA"   31 ottobre 1846
Redattore Dr. Kandler




« Noi Carlo VI per la Dio grazia Imperatore dei Romani, sempre Augusto, re di Germania, delle Spagne, di Ungheria, di Boemia, di Dalmazia, di Croazia e di Slavonia ecc., arciduca d'Austria, duca di Borgogna, del Brabante, di Milano, di Stiria, di Carintia, del Carnio, di Würtemberga, conte di Absburgo, di Fiandra, del Tirolo, di Gorizia e di Gradisca ecc. ecc. – Annunciamo la nostra grazia imperiale a tutti i fedeli abitanti e sudditi, di qualunque rango e dignità, officio, o condizione, i quali domiciliano nell'Austria interiore, cioè a dire nella Stiria, Carintia, Carnio, Gorizia, Gradisca, Trieste, S. Vito di Fiume ed a quanti abitano nelli nostri stati ereditari, coste e porti di mare o che in seguito vorranno prendere domicilio.

« E facciamo loro sapere; Che per promovere, regolare ed aumentare il commercio nei nostri stati ereditari, e precipuamente nell'Austria interiore e nei porti di mare abbiamo considerato conveniente ed utile di provvedere ai mezzi essenziali e convenienti, di accogliere e di favorire quelli che vorranno domiciliarvi, e di avervi riconosciuto fra i mezzi più adatti la sicura e libera navigazione per l'Adriatico, la quale senza concedere alcune franchigie non potrebbe avere luogo.

« Quindi è che sulla circostanziata proposizione fattaci rassegnare, abbiamo deliberato quanto segue:

« Ai nostri sudditi del confine militare marittimo ungarico e croato ed a tutti e singoli gli abitanti sudditi e fedeli nei nostri porti e spiagge marittime dell'Austria interiore, ed a tutti quelli che vorranno fissarvisi in questi porti e coste, e porsi sotto la nostra sovrana potestà, e che volessero attivare e promuovere nel miglior modo il commercio col darsi alla navigazione, permettiamo graziosamente che possano liberamente armare navigli e trattare il commercio.

« A tutti quelli che desiderassero di prendere domicilio, accordiamo terreni in Porto Re nuovo e vecchio, oppure nel distretto di Vinodol, che è provveduto d'acque salse e dolci utili alla tintura delle sete e delle lane; ed è chiuso da un lato con alte montagne, provveduto di molte castella e case in muro adatte a buone abitazioni e fabbriche, provveduto di molini utilizzabili per opifizi ad acqua.

«Ai nostri abitanti ed altri fedeli, nostri i quali per attivare il commercio e la navigazione, salperanno dai nostri porti dell'Austria interiore, accordiamo l'uso della nostra bandiera imperiale ed arciducale, e concediamo loro le occorrenti lettere patenti che a richiesta verranno rilasciate dalla Nostra cancelleria aulica segreta dell'Austria interiore.

« Promettiamo di difendere le loro persone, i navigli ed i carichi contro qualunque potentato che li arrestasse, turbasse, o pregiudicasse, promettiamo di rivendicare ogni torto e pregiudizio che venisse loro arrecato, e che considereremo come arrecato alla nostra provincia medesima, e sapremo adoperare ogni mezzo conveniente perchè abbiano pronta soddisfazione.

« Concediamo la nostra grazia imperiale ed arciducale, ed immunità a quelli che si recheranno nei nostri porti con navi, anche da luoghi forestieri, per cominciare il commercio nel mare Adriatico.

« Ci affretteremo ad introdurre regole ed ordinanze pei trafficanti affinchè venga loro fatta buona giustizia, senza stancheggi, quindi sommarissima e di pronta esecuzione, come è pratica in ben regolate città mercantili, e come è di diritto mercantile, affinchè possano continuare il libero commercio.

« A questo oggetto faremo rivedere, adattare e pubblicare per la nostra provincia dell'Austria interiore il Codice cambiario già da noi approvato.

« Faremo adattare le vie e le strade attraverso tutti i nostri stati ereditari fino ai porti di mare, affichè sieno accessibili ai carri larghi, e sieno vantaggiose al commercio; le terremo purgate da ladri, da vagabondi e malintenzionati.

«Abbiamo già intimato questa nostra risoluzione al nostro Consiglio reale delle Spagne, al nostro Consiglio aulico di guerra, ed alla nostra Camera aulica affinchè provvedano alla esecuzione dettagliata di questa nostra volontà.

« Siamo poi intenzionati di aumentare le manifatture esistenti nei nostri stati ereditari, di migliorarle, di erigerne di nuove, e di accordare a tale effetto privilegi ed immunità a quegli artefici nazionali e forestieri che li chiedessero, e di accordare agli artefici stessi abitazioni adatte.

« Queste nostre disposizioni vengono fatte note ai sopraindicati nostri fedeli sudditi ed abitanti ad alle altre sopraindicate persone cui può interessare, di qualunque dignità, stato, officio o condizioni, ad effetto che sappiano conformarsi alla presente risoluzione, sì vantaggiosa alla pubblica prosperità, e godere così del potente nostro patrocinio.

« Imperciocchè così si adempirà la nostra sovrana graziosa volontà.

« Dato nella nostra città di residenza Vienna, il secondo giorno del mese di giugno, del millesettecento e dieci sette; sesto anno del nostro impero romano, decimoquarto del regno spagnuolo, settimo del regno ungarico e boemo.
« CARLO.
« Ludovico conte DE SINZENDORF.
«Ad espresso proprio comando di Sua Sacra Cesarea e Cattolica Maestà 
Giov. Gius. DE LVIDL ».

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