Per gentile concessione, pubblichiamo l'articolo della socia Marinella Salvi (Žbogar), apparso sul periodico dell'ANPI "0-44" del gennaio 2019.
http://www.anpits.it/0-44/gennaio_januar_2019.pdf
Marinella Salvi collabora dal giugno 2018 alla formazione dell'"Anagrafe dei soldati del Litorale Austriaco" che comprende attualmente più di 14.000 nominativi.
http://www.anpits.it/0-44/gennaio_januar_2019.pdf
Marinella Salvi collabora dal giugno 2018 alla formazione dell'"Anagrafe dei soldati del Litorale Austriaco" che comprende attualmente più di 14.000 nominativi.
Quattro novembre in
quella che si chiamava, fino alla Prima Guerra Mondiale, Piazza
Grande. Palco per le autorità e reparti schierati, fanfare, cavalli,
biciclette. Navi della Marina Militare italiana attraccate e Frecce
Tricolori che colorano l’azzurro. Raffiche di Bora tesa mantengono
la giornata tersa ma così dal cielo non possono piovere tricolori
giganti né volteggiare acrobatici stormi.
Cent’anni dalla
fine della Prima Guerra Mondiale e si celebra “la Vittoria”, si
parla delle gesta eroiche dei soldati italiani che sopportarono
sacrifici spesso disumani dando “prova sublime di amore per la
nazione”. Presidente della Repubblica e Ministro della Difesa
italiani.E a rendere onore agli “Eroi” immolatisi perché queste
terre fossero “redente”, migliaia di “fascisti del terzo
millennio” a calpestare le strade triestine proprio il giorno
prima.
Vittoria, vittoria!
Ma di chi? Non occorre essere bolscevichi né aver frequentato un
qualsiasi economista per sapere che quella guerra, quegli Stati in
guerra, avevano ben altri obiettivi: conquistare nuovi territori dove
esportare capitale, controllare le fonti di materie prime e deviare
le tensioni interne prodotte da una massa di lavoratori che
cominciavano a reagire allo sfruttamento.
E nasce così un
nuovo veleno: ideologie nazionaliste, xenofobe e razziste vengono
iniettate a dosi sempre più massicce. Alle popolazioni viene
additato un nemico e costruito un motivo per combattere. Alla guerra,
evviva!
Peccato. Trascorso
un secolo, quei milioni di morti operai e contadini aspettano ancora
che qualcuno si scusi per averli mandati al macello perché pochi
altri continuassero ad arricchirsi.
Dal seme avvelenato
della Prima Guerra Mondiale sono nati fascismo e nazismo. Sarebbe
bello sentire un giorno qualcuno che lo dice da un palco. Viene in
mente forse solo Papa Francesco che, proprio a Redipuglia nel 2014,
ha parlato di “terza guerra mondiale combattuta a pezzi, con
crimini, massacri, distruzioni” come seguito, oggi, di un ‘900
che è stato, sempre e solo, “il secolo della guerra” (1).
Ma forse è
velleitario sperare in un rapido cambiamento, in questo 2018 di
sovranismi, quando si usano parole nuove per mascherare la stessa
fregatura! Andrebbe spiegato, però, come si può ancora
rappresentare la guerra come “riscatto della nazione” davanti ai
centomila soldati italiani condannati per diserzione, agli
ammutinati, renitenti, decimati, pacifisti, ai quattromila condannati
a morte per “rivolta in faccia al nemico” (2).
“Sono uomini
rubati alle loro abitazioni” diceva Jaroslav Hašek (3) ed è
questa la traccia del Convegno organizzato a conclusione della mostra
“Uno sguardo dal Litorale / Pogled s Primorja 2014-2018”. Mostra
che ha portato a Bagnoli/Boljunec più di cinquemila visitatori ad
ascoltare le piccole grandistorie degli uomini che sono partiti con
la divisa austroungarica per i fronti più diversi, delle stagioni,
gli armamenti, le battaglie, la quotidianità di quello scontro
epocale. Guardando la guerra da qui, appunto. Guardare la guerra
dall’ex Litorale Austriaco, alla fin fine, è un privilegio. Queste
terre, “margini di zolla tettonica” (4), possono meglio
rappresentarne la complessa bestialità ed aiutano a far esplodere le
contraddizioni delle ipocrisie nazionalistiche.
Trieste, con la
retorica patriottarda sulla Prima Guerra Mondiale, ha un conto in
sospeso in più: riappropriarsi della propria storia dopo che questa
è stata raccontata a senso unico. Imposta, non solo raccontata, e
con la ferocia che sappiamo. Con l’integralismo nazionalistico, con
la violenza fisica e psicologica; i nomi dei luoghi, delle strade,
delle famiglie, i monumenti, le lapidi, le targhe ...ed il vistoso
cambiamento di popolazione attraverso “migrazioni, espulsioni di
massa, esodi, pulizie etniche o sociali, ma non solo: anche modifiche
(imposte o volute) della propria identità da parte di chi restava”
(5).
Trieste, la
cosmopolita “fedelissima immediata all’Impero”, diventata in
pochi anni la “città italianissima”.
Ogni tanto, e tanto
più è successo durante questi anni di celebrazione del centenario,
qualcuno alza la testa: non perché filo austriaco, non perché anti
italiano, ma per il fastidio che si prova davanti alle menzogne.
Libri, filmati, mostre...sono stati tanti i granelli di sabbia
gettati nell’oliato meccanismo della retorica ufficiale.
Impossibile ricordarli tutti.
Storici,
appassionati, o anche solo triestini desiderosi di conoscere qualcosa
di più di nonni e bisnonni, hanno frugato negli archivi -
frammentati e imprecisi- storici, militari, parrocchiali... o hanno
guardato negli scatoloni dimenticati in soffitta, tra le fotografie
seppiate e le belle grafìe di feldpost sbiadite... Si sono raccolti
contributi per dare spessore e contesto ai vecchi diari e alle
testimonianze riemerse da un oblìo quasi secolare. Si sono
cominciati ad organizzare elenchi di nomi: decine di migliaia di
soldati del Litorale sembravano scomparsi e non si voleva restassero
innominati, espunti dalla memoria.
Riuscire a dare un
nome a migliaia di ombre non è soltanto riportarle alla memoria: è
dare loro tangibilità, renderle testimonianza incontestabile del
loro essere state carne e sangue, mani, occhi, pensieri, lingue e
mestieri.
Per leggere una
parte di questi nomi decine di associazioni si sono date appuntamento
in piazza Verdi lo scorso 10 novembre. Tanti cittadini, letture in
italiano, sloveno, croato, friulano, tedesco, triestino, i Cori
Tabor, Kraški dom, Venturini, Skala, Slovan, il Gruppo Costumi
Tradizionali Bisiachi, in una partecipata cerimonia che ha voluto
ricordare quei soldati triestini e del Litorale Austriaco che, per
gran parte del ‘900, hanno subìto anche l’onta della damnatio
memoriae.
Quel Fabian, morto
pazzo a trentacinque anni in un ospedale da campo nel fragore
insopportabile della guerra in montagna, o il ventottenne Mayer morto
di crepacuore o ancora quel Ternovich sepolto in Moravia che ancora
non aveva vent’anni... (6).
Nel resto del
Litorale, soprattutto dove le comunità sono rimaste più omogenee e
meno numerose,la ricerca è stata più facile potendo contare anche
sulla memoria degli abitanti. Di quei paesani che cento anni fa non
hanno fatto più ritorno ai mulini, alle »struge«, agli ulivi,
resta una targa affissa in piazza, da quest’anno, anche a
Bagnoli/Boljunec. Ventotto uomini travolti nei Balcani, in Tirolo,
sull’Isonzo. Il più anziano aveva 39 anni, caduto a
Doberdò/Doberdob, il più giovane aveva 21 anni, caduto in Galizia.
Ventotto nomi che la gente di Bagnoli/Boljunec ha voluto ricordare
con quella targa e la intensa cerimonia che ne ha preceduto lo
scoprimento. Nei costumi tradizionali, nella composta consapevolezza
di un momento celebrativo, tanta gente si è raccolta nella piccola
chiesa parrocchiale, sotto le splendide figure scolpite nel legno del
pulpito, anziani e bambini ad ascoltare, cantare, recitare, perché
potesse restare viva la memoria della propria appartenenza e delle
proprie radici. Bastava esserci, nella chiesetta di Bagnoli/Boljunec
per sentire quanto siano stonati i richiami alla “vittoria della
nazione”. No, non può nessuno, qui, raccontare la storia della
Prima Guerra Mondiale come “liberazione dal giogo straniero”.
(1)
Alain Badiou “Il Secolo” – Feltrinelli 2006
(2)
Leonardo Filippi “L’inganno della guerra svelato dai disertori”
- Left n.44/2018
(3)
Jaroslav Hašek ‚”Le avventure del buon soldato Schveik nella
grande guerra‘‘ – Mondadori 2016
(4)
Wu Ming 1 ‚‘Cent‘anni a Nordest– Viaggio tra i fantasmi della
guerra granda‘‘ – Rizzoli 2015
(5)
Piero Purini Purič‚”Metamorfosi etniche – I cambiamenti di
popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria 1914-1975‘‘ –
Edizioni Kappa Vu 2010
(6)
Club Touristi Triestini ‚”Dormono gli sconfitti, soli,
abbandonati‘‘ – Battello stampatore 2018
Četrti november na
trgu, ki so mu do prve svetovne vojne rekli Veliki trg. Odri za
oblasti in postrojeni oddelki, vojaška godba, konji, kolesa.
Zasidrane ladje vojaške mornarice in Frecce Tricolori (tribarvne
puščice), ki barvajo modrino. Sunki Burje ohranjajo nebo jasno, a
preprečujejo da bi z neba kapljale orjaške trobojnice in se
obletavale akrobatske jate.
Sto let je od konca
prve svetovne vojne in se proslavlja »Zmaga« in govori o junaških
podvigih italijanskih vojakov, ki so prenašali često nečloveška
žrtvovanja in »plemenito dokazovali svojo ljubezen do domovine«.
Predsednik italijanske Republike in obrambni minister. In povrh je za
izkazovanje časti »junakom«, ki so se žrtvovali, da bi »odrešili«
te kraje, je tržaške ulice teptalo več tisoč »fašistov tretjega
tisočletja.« Zmaga, zmaga! Toda čigava? Ni nujno, da si boljševik
ali da si se družil s kakršnimkoli ekonomistom, če ti je jasno, da
so imele tista vojna, tiste države v vojni povsem drugačne cilje:
pridobiti nova ozemlja za izvažanje kapitala, nadzorovati vire
surovin in preusmeriti notranja trenja, ki jih je ustvarjala množica
delavcev, da bi reagirala na izkoriščanje.
Tako se rodi nov
strup: nacionalistične, xenofobe in rasistične ideologije se
vsiljujejo v vse večjih dozah. Ljudstvu pokažejo na sovražnika in
ustvarijo razlog, zaradi katerega se je treba boriti.
V boj, živijo!
Škoda. Eno stoletje
je mimo, a milijoni mrtvih delavcev in kmetov še vedno čakajo, da
se bo kdo opravičil, ker jih je poslal v zakol, da bi peščica
drugih še naprej bogatela. Iz zastrupljenega semena prve svetovne
vojne sta pognala fašizem in nacizem. Lepo bi bilo slišati, da bi
lepega dne o tem nekdo spregovoril z odra. Na misel pride morda samo
papež Frančišek, ki je leta 2014 prav v Redipugliji govoril »o
tretji svetovni vojni, ki poteka po kosih, z zločini, pokoli in
uničevanji«, kot nadaljevanje XX. stoletja, ki je bilo vedno in
samo »stoletje vojne«, (1)
Morda pa je odveč
računati na naglo spremembo v tem letu sovranizmov 2018, ko
uporabljajo nove besede, da bi zamaskirali stare prevare!
Toda treba bi bilo
razložiti, kako lahko sploh govorimo o vojni kot »odrešitvi
naroda« spričo sto tisoč italijanskih vojakov, obsojenih zaradi
dezerterstva, upora, odklanjanja vojaške službe, spričo
zdesetkanih pacifistov in štirih tisoč obsojenih na smrt zaradi
»upora spričo sovražnika«. (2)
»Gre za ljudi, ki
so jih ukradli njihovim domovom«, je menil Jaroslav Hašek (3) in
prav to je bil smisel simpozija, ki so ga priredili ob koncu razstave
“Uno sguardo dal Litorale / Pogled s Primorja 2014-2018”.
Razstave, ki je priklicala v Boljunec več kot pet tisoč
obiskovalcev, da so prisluhnili malim velikim zgodbam o ljudeh, ki so
odšli v avstroogrski uniformi na najrazličnejše fronte, o letnih
časih, oborožitvah, bitkah, o vsakdanjosti tistega epohalnega
spopada. Opazujoč vojno od tukaj, seveda.
Opazovati vojno iz
bivšega avstrijskega Primorja predstavlja konec koncev privilegij.
Ti kraji, »obrobja tetonske grude« (4), lahko lažje predstavijo
zapleteno zverinskost in pomagajo, da se rešimo protislovij
nacionalistične hinavščine. Trst, s svojo pretirano domoljubno
retoriko o prvi svetovni vojni ima še en odprt račun več:
polastiti se svoje zgodovine, potem ko je bila le-ta povedana
enostransko. Vsiljena, ne samo povedana, in s krutostjo, ki jo
poznamo. Z nacionalističnim integralizmom, s fizičnim in
psihološkim nasiljem; imena krajev, poti, družin, spomeniki,
nagrobne plošče, table ... in vidno spreminjanje prebivalstva
zaradi »migracij, množičnih izključitev, eksodusov, etničnih in
družbenih čiščenj, pa ne samo: tudi spreminjanja (vsiljena ali
hotena) lastne identitete s strani tistih, ki so ostali. (5)
Kozmopolitski Trst,
»nadvse zvest cesarstvu«, je v nekaj mesecih postal “città
italianissima” (nadvse italijansko mesto). Od časa do časa,
zlasti pa v teh letih proslavljanja stoletnice se je zgodilo, da je
kdo dvignil glavo: ne ker bi ljubil Avstrijo ali sovražil Italijo,
pač pa zaradi občutkov nadležnosti spričo laži. Knjige, filmi,
razstave... bilo je veliko peščenih zrn, ki so jih vrgli v naoljen
mehanizem uradne retorike. Težko se je spomniti vseh. Zgodovinarji,
navdušenci, ali samo ljudje, željni vedeti kaj več o dedih in
pradedih, so stikali po zgodovinskih, vojaških, župnijskih arhivih
– nepopolnih in netočnih ... ali brskali po pozabljenih škatlah
na podstrešju med sepijastimi fotografijami in zbledelimi pisavami
na pismih vojaške pošte ... Zbrali so se prispevki, ki naj bi dali
smisel in pomen starim dnevnikom in pričevanjem, ki so spet prišla
na dan iz skoraj stoletne pozabe. Tako so se začeli urejati seznami
imen: kazalo je, da je izginilo na desetine tisočev vojakov iz
Primorja, za katere pa se ni želelo, da bi ostali neimenovani,
izbrisani iz spomina.
Kadar nam uspe
določiti ime tisočerim sencam, ne pomeni samo, da jih povrnemo v
spomin: pomeni, da postanejo otipljive in da nesporno pričajo o tem,
kar so bile – meso in kri, roke, oči, misli, jeziki in poklici.
Več desetin združenj se je zbralo 10. novembra na trgu Verdi, da bi
razkrili del teh imen. Veliko občanov, branje v italijanščini,
slovenščini, hrvaščini, furlanščini, nemščini. Pevski zbori
Tabor, Kraški dom, Venturini, Skala, Slovan, Skupina narodnih noš s
Tržiškega. Vse to na slovesnosti, na kateri so se želeli spomniti
tistih tržaških in primorskih vojakov, ki so bili skoraj skozi vse
XX. stoletje deležni damnatio memoriae. Kot Fabian, ki je poblaznel
in umrl pri 35. letih v poljski bolnišnici med neznosnim hrupom
gorske bitke ali kot 28-letni Mayer, ki je umrl od žalosti, pa
Ternovich, ki so ga pokopali na Moravskem, ko mu še ni bilo dvajset
let... (6)
Drugod na
Primorskem, zlasti kjer so bile skupnosti bolj homogene in manj
številne, je bila raziskava lažja in je lahko računala na spomin
prebivalstva. Vaščanom, ki se pred sto leti niso več vrnili v
mline, v struge, med oljke, so letos postavili na trgu spominsko
tablo tudi v Boljuncu. Kar 28 se jih ni vrnilo z Balkana, s Tirolske,
iz Posočja. Najstarejši je imel 39 let in je padel v Doberdobu,
najmlajši pa 21 let in je padel v Galiciji. 28 imen, ki so se jih
Boljunčani hoteli spomniti s ploščo in slovesnostjo, ki je
potekala pred njenim odkritjem. Veliko ljudi v narodnih nošah in z
zavestjo o pomenu slovesnosti se je zbralo v župni cerkvi pod
čudovitimi figurami, vklesanimi v les prižnice. Starejši in otroci
so poslušali, peli, recitirali, da bi ostal živ spomin na njihovo
pripadnost in korenine. Kdor je bil v boljunški cerkvici, je lahko
zaznal, kako razglašena so bila sklicevanja na »zmago naroda«. Ne,
nihče tu ne more predstaviti zgodovino prve svetovne vojne kot
»osvoboditve izpod tujega jarma«.
Viri:
(1)
Alain Badiou “Stoletje” – Feltrinelli 2006
(2)
Leonardo Filippi “Vojna prevara, ki so jo razkrili dezerterji ” -
Left n.44/2018
(3)
Jaroslav Hašek ''Dobri vojakŠvejk'' – Mondadori 2016
(4)
Wu Ming 1 ‚”Sto let na severovzhodu – Potovanje med prikazni
prvesvetovne vojne‘‘ – Rizzoli 2015
(5)
Piero Purini.Purič ‚”Etnične metamorfoze – Spremembe
prebivalstva vTrstu, Gorici, na Reki in v Istri 1914-1975‘‘ –
Edizioni Kappa Vu 2010
(6)
Club Touristi Triestini ‚”Poraženci spijo, sami in zapuščeni‘‘
– Battello tiskar 2018
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