13.5.2019: Luciano Santin sul 302° di Maria Teresa



Solo poche parole per evitare che questi incontri rappresentino stanche liturgie in cui si rimastica il passato come un bolo alimentare ormai senza sapore né nutrimento.
Solo poche parole rivolte al futuro.
Quando, due anni fa, si è riaccesa l’attenzione su Maria Teresa d’Austria, la sovrana cui Trieste deve l’avvio delle sue fortune e della sua crescita, si è puntato, dappertutto su una caratteristica precisa e fondamentale: il suo essere europea.
Nella cultura, nelle competenze linguistiche, nella visione, che tentò di realizzare con una rete di matrimoni dinastici.
E’ il caso di riflettere sulla coincidenza tra questa prospettiva europea e il grande salto di qualità di Trieste, la sua trasformazione cioè da borgo con residue tracce di Medioevo a centro moderno e proiettato verso l’esterno.
Per quanto, merci o persone, esca dall’Europa centrale siamo il primo porto di imbarco, e siamo l’approdo più vicino per quanto vi entri.
Nessuna città ha tanto bisogno dell’Europa quanto Trieste. Ma forse anche viceversa.
Questo è un luogo che nella parte migliore della sua storia è stato straordinariamente inclusivo, e ha fatto sì che nessuno vi si sentisse davvero forestiero.
In quanti alle sorti della città, sono sempre state eterodirette. Nel bene e nel male. E’ stata la grande geopolitica a scegliere. Vienna, Roma, Londra, Parigi, Washington, Mosca, Belgrado.
E questo dai tempi di Maria Teresa, che ordinò l’abbattimento delle mura, l’incorporazione della città nuova in quella vecchia e l’allargamento del porto franco. Con un gesto che potremmo anche definire dispotico ma che fece grande Trieste.
Due riflessioni sul presente, allora. Ci sono, nuovamente importanti interessi che guardano al nostro scalo. Parlo ovviamente della Cina. Credo che non dobbiamo averne paura. Siamo un relais importante dell’economia europea, non italiana. E l’economia europea è la più grande al mondo. Più della Cina, e più dell’America, che infatti teme l’Antico continente.
Purtroppo siamo usi a ragionare in termini nazionali: economia tedesca, francese, italiana. Ma i 28 dell’UE o i 27, se non contiamo la Gran Bretagna, che forse ora si sta rendendo conto del clamoroso errore compiuto con la Brexit, sono la potenza.
Europa first, dovrebbe essere il motto che ci unisce.
Prima gli europei, ma con toni molto diversi da quelli usati nel motto prima gli italiani. Non scelte di esclusione, ma volontà di recuperare quella leadership di cultura e civiltà di cui da un secolo altri si sono appropriati, sfruttando due tremende guerre europee.
Spirano venti venefici, in questi giorni. Si vogliono distruggere costruzioni faticose, avviate proprio quando abbiamo cominciato a renderci conto di quanto le divisioni avessero danneggiato e indebolito anche i singoli paesi europei.
Spaccare è facile, la storia ce lo insegna, rimettere assieme i cocci, è invece molto più lungo e difficile.
Gli interessi politici di piccolo momento lavorano sull’ostilità, cercano nemici esterni su cui scaricare il malcontento. E i social fanno da amplificatore a chiunque predichi l’odio.
Dobbiamo guardarci da queste negatività. E’ sacrosanto amare le piccole patrie, salvaguardare lingua, cultura e usanze locali, curare i propri interessi. Ma non contro altri, perché la via della divisione e della frammentazione finisce con il danneggiare tutti. Dobbiamo recuperare quel rispetto e quella capacità di dialogo che furono la cifra di un Paese in cui l’inno si cantava in undici lingue.
Questo punto è vitale, per la Trieste dell’oggi e del domani, che ha come guida istruttiva e chiara, i tre secoli che sono passati da Maria Teresa, sempre che non la storia non la si voglia mistificare, come è stato nel ’900 e come si sta cercando di fare nuovamente.
Abbiamo bisogno di più Europa, non di meno Europa. Tutti, ma i triestini misura maggiore. Perché è stato propalato per un secolo lo slogan della città cara al cuore di tutti gli italiani. Ma invece, e oggi forse ce ne stiamo riaccorgendo, Trieste è cara al cuore di tutti gli europei.

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