Il
premio Cergoly 2019 è stato assegnato a Péter Techet per il suo
lavoro “Gewalt in der
Kirche Innerkatholische Konflikte im ländlichen Hinterland der
österreichisch-ungarischen Küstenregion, 1890-1914” (Violenza
nella Chiesa – conflitti intercattolici nel retroterra rurale della
regione costiera austro-ungarica, 1890-1914)
La
giuria ha premiato questo ponderoso e poderoso lavoro di Techet (si
tratta di una tesi di dottorato), in quanto l'autore, attraverso
l'analisi dei conflitti nazional-religiosi a Trieste, in Istria, a
Fiume, nelle isole del Quarnero, nella Lika e sul Litorale ungherese
(Senj-Segna) ha dimostrato come il nazionalismo linguistico fu
funzionale alle elite nazionaliste italiane e croate in Istria e a
Fiume e a quelle italiane e slovene a Trieste e nei sobborghi per
acquisire o mantenere una posizione predominate nella società,
mentre invece la popolazione era sostanzialmente lontana dalle
questioni nazionali e addirittura estranea a posizioni estremiste e
irredentiste. Le autorità imperiali cercarono di opporsi alle
strategie adottate da queste elite nazionali stimolando la convivenza
tra i diversi gruppi nazionali e cercando in alcuni casi di
promuovere il tedesco come lingua sovranazionale. Tuttavia, le
politiche delle autorità asburgiche si rivelarono deboli ed esitanti
perché, essendo queste elite nazionali comunque classe dirigente
borghese, vi era il timore che provvedimenti troppo energici
potessero rivelarsi controproducenti per il governo da un punto di
vista economico e sociale.
Oltre
a ciò, la tesi di Péter Techet contiene un altro argomento di
estremo interesse per le finalità del premio: l'analisi della
sparizione dopo il 1918 della memoria del multiculturalismo nel
Litorale. La retorica nazionalista, dopo la fine della prima guerra
mondiale, ha cancellato completamente la memoria di secoli e secoli
di convivenza tra i vari popoli che componevano la duplice Monarchia
per presentare l'ultimo periodo di esistenza dell'Austria-Ungheria
(se non la sua intera storia) come una conflittualità perenne tra i
popoli dell'impero. Si tratta di una mistificazione che reinterpreta
la storia leggendola esclusivamente attraverso la chiave di lettura
nazionalista degli Stati che nacquero o si espansero dopo il finis
Austriae. Il fatto che la popolazione non ideologizzata non fosse
assolutamente coinvolta nelle questioni nazionali è stato cancellato
dalla storia, come pure il fatto che la popolazione minuta in genere
non fu per niente entusiasta del crollo del crollo dell'Impero e lo
vide invece come una catastrofe foriera di tempi decisamente
preoccupanti. Gli stati successori dell'Austria-Ungheria
(Cecoslovacchia, Jugoslavia, Ungheria, Romania ed Italia) costruirono
invece una mitologia irredentista in gran parte artificiale,
applicando etichette nazionaliste a popolazioni che nella stragrande
maggioranza dei casi nazionaliste non erano mai state e distruggendo
la memoria della storia precedente.
Dalla
tesi di Techet emerge la riflessione che l'ingresso di queste
popolazioni (in molti casi plurilingui) negli stati nazioni
successivi al 1918 abbia provocato un devastante impoverimento
culturale, dato che nell'arco di una o due generazioni quasi tutti
gli abitanti dell'ex Austria-Ungheria divennero monolingui.
Infine,
un particolare che non ha influito sulla decisione di assegnare il
premio ma è stato piacevolmente gradito dalla giuria è
l'autodefinizione che Péter Techet nel suo curriculum ha dato di sé:
anziché tedesco o ungherese (le sue due cittadinanze), si è
definito cittadino europeo, un'identificazione non di poco conto, se
si considera l'attuale temperie politica che si sta profilando nel
nostro continente.
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