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In
questo libro, rigoroso e insieme affascinante e avvolgente, Arduino
Agnelli ha dimostrato concretamente come questo termine nasca, alla
metà dell’Ottocento,
per indicare uno spazio danubiano centroeuropeo, uno spazio di
politica economica, egemonizzato da tedeschi e ungheresi. Nelle
pagine che raccontano l’origine di questo termine Arduino Agnelli
fa toccare con mano questa seconda e per lo più ignorata o
dimenticata contraddizione: una grande cultura che si svilupperà
soprattutto in direzione letteraria, filosofica, linguistica e
matematica e che nasce come concreto disegno economico.
... Quel termine,
Mitteleuropa,
che
poco dopo indicherà un’utopica identità plurinazionale o
sovranazionale (indefinibile in termini nazionali) e un ancor più
utopico coro armonioso delle varie nazionalità, nasce per designare
una precisa egemonia di alcune nazionalità, quella tedesca e quella
ungherese, sulle altre dell’Impero. Su questa scia il termine
“mitteleuropea” arriverà a indicare perfino un’ideologia
nazionalista tedesco-espansionista (come nel libro di Naumann)
e
addirittura il progetto di un’ecumene europea all’insegna del
nazionalsocialismo, come nell’idea di Mitteleuropa
del
grande storico von
Srbik,
fondamentale per capire non solo la Mitteleuropa
ma
la storia dell’Europa.
Dopo
quell’inizio, il termine Mitteleuropa
acquisirà
un significato esattamente opposto: starà a indicare un’identità
plurinazionale o sovranazionale, composita, una sorta di elemento
comune a tutte le culture nazionali esistenti nell’Europa centrale
e non identico o limitato a nessuna di esse. Mitteleuropa
diviene
un sinonimo di quella cultura plurinazionale in cui spesso gli
abitanti di un paese portano cognomi di nazionalità diversa, come
quello sfegatato nazionalista tedesco mangiacechi, nella Praga ai
tempi di Kafka, che si chiamava Czech. La Mitteleuropa
diviene
il mondo che Johannes Urzidil, lo scrittore praghese di lingua
tedesca e di origine ebraica che tenne giovanissimo il discorso
funebre ai funerali di Kafka … ... definiva “hinternazionale”,
giocando col termine tedesco “hinter”,
che
significa dietro. Quel mondo di cui Musil
diceva
che l’austriaco era un austro-ungherese meno l’ungherese, ossia
il risultato di una sottrazione; quel mondo e quella cultura di cui è
stata spesso proclamata la “indefinibilità”.
Una indefinibilità che è stata vissuta ora come sigla di
inestinguibile sopravvivenza ora come emblema di morte, giacché
Musil
diceva
dell’Austria che essa era andata in rovina a causa della sua
inesprimibilità, del suo nome “puramente immaginario”. Ma
soprattutto va ricordato come il termine e l’ideale della
Mitteleuropa
siano
fioriti specialmente negli anni Venti e Trenta in contrapposizione
all’Europa dei nazionalismi e dei fascismi, in particolare del
nazismo; come durante la guerra fredda siano divenuti un simbolo di
resistenza ai regimi filosovietici dell’Europa dell’Est e siano
anche divenuti il simbolo di una contrapposizione allo stile
americano di vita.
La
cultura mitteleuropea si caratterizza pure per la sua contraddittoria
molteplicità; in generale si tratta di una cultura che ha conosciuto
una grande simbiosi di arte e scienza, che è stata un grande
cantiere dell’universale trasformazione del mondo, delle visioni
del mondo e dell’uomo stesso, avvenuta fra Ottocento e Novecento.
Una cultura che ha posto - in tutti i campi - l’accento non
sull’unità, quanto sulla molteplicità e la frammentazione, sulla
dissoluzione dei
sistemi filosofici e della stessa unità individuale, dello stesso
soggetto; una cultura particolarmente sensibile al disagio, a
ciò che è marginale e periferico, all’ironia, con la quale ha
diagnosticato e vissuto le apocalissi della civiltà occidentale.
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...
Non
a caso, da quella frequentazione della Mitteleuropa,
che
non si limita a questo libro
ma di cui questo libro è certo il più grande monumento, è nato
pure uno
splendido, breve saggio, che io gli avevo per così dire
commissionato per un numero della rivista dell' Accademia delle
Scienze di Budapest, “Neohelikon”.
È
uno studio sul romanzo di
Franco Vegliani
La
frontiera,
un bellissimo romanzo che Arduino amava tanto e che non è sempre
ricordato come meriterebbe, nonostante l’ottimo film omonimo di
Franco Giraldi. Studiando quel romanzo e quel concetto di frontiera,
Arduino ha scritto delle mirabili pagine sul sentimento di inappartenenza, che nasce negli uomini di frontiera i quali hanno tanta
difficoltà a identificarsi in una univoca identità nazionale e
culturale, e che diventa una vera e autentica identità, un
sentimento di appartenenza; l’individuo riconosce la sua più vera
essenza proprio in questa sorta di indefinibile terra di nessuno, che
diviene una patria esistenziale e culturale.
(Tratto dalla prefazione di Claudio Magris. Trieste, novembre 2005)
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