Pietro
Paolo Kandler nacque a Trieste il 23 maggio 1804, da umili natali: il
padre era un insegnante di disegno. Come tanti suoi conterranei venne
indirizzato agli studi di legge; ma uno dei suoi vecchi professori
del ginnasio di Capodistria lo convinse a dedicarsi agli studi
umanistici. Trasferitosi all'Università di Vienna, Kandler vi scoprì
il poema Histria
di A. Rapicio (1556) sul quale incentrò la laurea, conclusasi a
Pavia (1826). Era la prima scintilla di un interesse storico che
avrebbe avuto largo sviluppo. Giocò un ruolo importante il lavoro
quale praticante legale presso lo studio di Domenico Rossetti che gli
permise di studiare gli statuti cittadini della storia di Trieste.
Non a caso il primo numero dell'Archeografo
Triestino, rivista fondata da Domenico
Rossetti, conteneva un articolo di Kandler sul “Duomo di Trieste”.
Intanto Kandler continuava a visitare i luoghi storici dell'Istria,
lavorando come geografo e cartografo. Quest'impegno non passò
inosservato presso il Comune di Trieste; ma ancor più giocarono a
suo favore gli articoli di sapore liberale pubblicati col giornale La
Favilla e successivamente con
L'Osservatore Triestino.
Fu così che l'amministrazione decise di affidargli la gestione del
museo tergestino di antichità.
Coniugando
l'interesse storico con quello geografico e - de
facto passando all'archeologia -
Kandler eseguì accurate perlustrazioni del territorio di Trieste,
con numerosi scavi che arrivarono a comprendere lo stesso campanile
di san Giusto. La morte di Domenico Rossetti lasciò sulle spalle del
Kandler il compito di proseguirne gli studi: inaugurò così il nuovo
Museo lapidario (1843), ma s'interruppe la pubblicazione
dell'Archeografo.
Dal suo canto, segnale degli interessi di Kandler, veniva pubblicato il settimanale L'Istria che lo storico scrisse (quasi) praticamente da solo per sette anni (1846-1852): un diluvio di carta nel quale Kandler spaziava dalla storia militare, all'arte, all'economia di Trieste e dei territori istriani, con oltre 560 articoli.
Dal suo canto, segnale degli interessi di Kandler, veniva pubblicato il settimanale L'Istria che lo storico scrisse (quasi) praticamente da solo per sette anni (1846-1852): un diluvio di carta nel quale Kandler spaziava dalla storia militare, all'arte, all'economia di Trieste e dei territori istriani, con oltre 560 articoli.
Si
avvicinava la Primavera dei Popoli: la tempesta nazionale del
Quarantotto sfiorò solo leggerissimamente Trieste, ma non mancarono
le discussioni e i dibattiti, grazie a un sostrato culturale liberale
coltivato negli anni precedenti. Non sorprende pertanto ritrovare
Pietro Kandler a Innsbruck, in compagnia del Barone Pasquale
Revoltella, a perorare la causa dell'autonomia di Trieste. Il 1848
svelò tuttavia un diverso orientamento di Pietro Kandler che lo
differenziava nettamente da Domenico Rossetti e a partire dal 1860
dalla classe politica triestina.
Kandler infatti vedeva il futuro di Trieste quale parte integrante dell'Austria, un destino - economico e politico – connesso strettamente con l'entroterra asburgico. Territori, si badi, austriaci e non “tedeschi”; e così come rigettava l'indipendenza di Trieste dall'Austria, così ne rifiutava l'inserimento nel bacino germanico. In questo contesto, quando venne eletto il 10 maggio 1848 quale rappresentante della Contea d'Istria alla Dieta di Francoforte, immediatamente rifiutò l'incarico, temendo un eccessivo ruolo degli stati germanici.
Kandler infatti vedeva il futuro di Trieste quale parte integrante dell'Austria, un destino - economico e politico – connesso strettamente con l'entroterra asburgico. Territori, si badi, austriaci e non “tedeschi”; e così come rigettava l'indipendenza di Trieste dall'Austria, così ne rifiutava l'inserimento nel bacino germanico. In questo contesto, quando venne eletto il 10 maggio 1848 quale rappresentante della Contea d'Istria alla Dieta di Francoforte, immediatamente rifiutò l'incarico, temendo un eccessivo ruolo degli stati germanici.
Il
neo-assolutismo di Alexander Bach deluse le speranze liberali di
Kandler il quale negli anni successivi al 1850 si dedicò al lavoro
di ricerca. In quest'ambito pubblicò il Codice
Diplomatico Istriano che rimane
tutt'ora la “massima espressione della storiografia medievistica
giuliana”.
Kandler fu inoltre nominato nel 1856 conservatore dei monumenti per il Litorale, l'unico che l'impero austriaco abbia scelto per le province di Trieste e Gorizia.
Kandler fu inoltre nominato nel 1856 conservatore dei monumenti per il Litorale, l'unico che l'impero austriaco abbia scelto per le province di Trieste e Gorizia.
Gli
anni Cinquanta e Sessanta dell'ottocento si rivelarono essere un
periodo fecondo per Kandler il quale pubblicò nel 1858 la sua opera
tutt'ora più nota: La storia del
Consiglio dei patrizi di Trieste dal 1382 al 1809
che divulgava le vicende del patriziato triestino nei secoli. Un
libro scritto con “commossa foscoliana ardenza”.
Trieste intanto mutava fisionomia; e si andava sviluppando dagli anni Sessanta dell'ottocento una classe politica che mirava a rivendicare, attraverso l'uso strumentale della storia, l'autonomia di Trieste. Domenico Rossetti aveva già tracciato la strada, con il suo “sogno municipalista”, ma ora si andava oltre cercando di “staccare” la storia di Trieste da quella dell'Austria. Pietro Kandler, deluso dalla mancata svolta liberale post 1848, ma altrettanto deluso dalla direzione della classe politica cittadina, andava coltivando invece un pensiero conservatore. Eppure agli stessi ultra conservatori non era affatto simpatico; non era un filo-austriaco intransigente, né odiava la cultura italiana.
La rottura definitiva avvenne nel 1861, quando il Consiglio comunale gli commissionò la Raccolta delle leggi, ordinanze e regolamenti speciali per Trieste (raccolta Conti, 1861-62). Il podestà Conti che l'aveva richiesta successivamente si dimise e il Kandler proseguì il lavoro intitolandolo Emporio e portofranco di Trieste.
Trieste intanto mutava fisionomia; e si andava sviluppando dagli anni Sessanta dell'ottocento una classe politica che mirava a rivendicare, attraverso l'uso strumentale della storia, l'autonomia di Trieste. Domenico Rossetti aveva già tracciato la strada, con il suo “sogno municipalista”, ma ora si andava oltre cercando di “staccare” la storia di Trieste da quella dell'Austria. Pietro Kandler, deluso dalla mancata svolta liberale post 1848, ma altrettanto deluso dalla direzione della classe politica cittadina, andava coltivando invece un pensiero conservatore. Eppure agli stessi ultra conservatori non era affatto simpatico; non era un filo-austriaco intransigente, né odiava la cultura italiana.
La rottura definitiva avvenne nel 1861, quando il Consiglio comunale gli commissionò la Raccolta delle leggi, ordinanze e regolamenti speciali per Trieste (raccolta Conti, 1861-62). Il podestà Conti che l'aveva richiesta successivamente si dimise e il Kandler proseguì il lavoro intitolandolo Emporio e portofranco di Trieste.
Ma
il Kandler era, prima di tutto, uno storico; e dai documenti che
consultava non gli risultava una storia di Trieste indipendente a tal
punto da giustificare una piena autonomia dalla natia Austria. Quando
il Consiglio comunale se ne accorse, il Kandler venne prontamente
“esonerato dall'incarico” ed “escluso dagli archivi”.
Pietro
Kandler decise così d'estraniarsi dalla politica triestina; ma non
rinunciò nei suoi scritti solitari, relegati al silenzio
dell'Archivio diplomatico, a rivendicare il destino di Trieste.
Si ritorna, come con Domenico Rossetti, all'atto della Dedizione di Trieste all'Austria (1382).
Se tuttavia la classe liberal-nazionale triestina si andava indirizzando a considerarla una violenta rottura, addirittura una fantomatica violazione dell'indipendenza di Trieste come comune medievale, Kandler era di altra opinione. La Dedizione si configurava per l'anziano storico come un'unione della città con il Ducato dell'Austria inferiore e Vienna. La sua ricerca sul patriziato non estivava addirittura a considerarlo come l'incipit della storia cittadina, relegando a un breve preambolo la storia precedente. Trieste per Kandler era in primo luogo una città austriaca; il cui legame con gli Asburgo rimaneva indissolubile. La Dedizione, osservava Kandler, era certo stata “condizionata”: i cittadini erano stati mossi da un “movente di interesse”. Ma ciò aveva garantito di connettere il destino della città alle provincie cisdanubiane senza le quali Trieste non sarebbe esistita.
Altro che porto settecentesco! Per Kandler il destino portuale di Trieste risaliva addirittura al XIV secolo; Trieste avrebbe dovuto essere nel Medioevo “il Porto di Vienna: quella l'Emporio Marittimo, questa l'Emporio terrestre”.
La Dedizione rimaneva inoltre per Kandler “spontanea”; perché altrimenti sarebbe risultato incomprensibile la fedeltà di Trieste all'Austria attraverso cinque secoli di regno.
“Una fedeltà – annotava Kandler – che resistette alle prove del ferro, del fuoco, delle sventure”.
L'approccio di Kandler restava quello di uno storico “coi piedi per terra”: vedeva il futuro di Trieste nel suo ruolo di città “immediata” dell'impero; autonoma, certo, ma pur sempre parte integrante dell'Austria. La visione di Kandler, in tal senso decisamente antinazionale, era squisitamente illuminista; e dimostrava ancora nel 1865-70 come fosse sopravvissuta una concezione di Trieste quale città-porto slegata dalla lingua e dalla nazione. Kandler infatti scrive spesso di “indigeni”, di “vecchi” e “autentici” triestini. Tuttavia è significativo come si rifiuti sempre di conferire loro un'identità “di popolo”. Il rifiuto di un'eccessiva autonomia si estende anche alla stessa idea di Mitteleuropa che giudica irrealizzabile; troppo vaga, troppo “vaporosa”, dalle pericolose conseguenze per il suo appoggio del capitale “tedesco”. Meglio scommettere su una Trieste che basa il suo successo sul Porto franco, ma saldamente ancorata all'Austria inferiore.
Si ritorna, come con Domenico Rossetti, all'atto della Dedizione di Trieste all'Austria (1382).
Se tuttavia la classe liberal-nazionale triestina si andava indirizzando a considerarla una violenta rottura, addirittura una fantomatica violazione dell'indipendenza di Trieste come comune medievale, Kandler era di altra opinione. La Dedizione si configurava per l'anziano storico come un'unione della città con il Ducato dell'Austria inferiore e Vienna. La sua ricerca sul patriziato non estivava addirittura a considerarlo come l'incipit della storia cittadina, relegando a un breve preambolo la storia precedente. Trieste per Kandler era in primo luogo una città austriaca; il cui legame con gli Asburgo rimaneva indissolubile. La Dedizione, osservava Kandler, era certo stata “condizionata”: i cittadini erano stati mossi da un “movente di interesse”. Ma ciò aveva garantito di connettere il destino della città alle provincie cisdanubiane senza le quali Trieste non sarebbe esistita.
Altro che porto settecentesco! Per Kandler il destino portuale di Trieste risaliva addirittura al XIV secolo; Trieste avrebbe dovuto essere nel Medioevo “il Porto di Vienna: quella l'Emporio Marittimo, questa l'Emporio terrestre”.
La Dedizione rimaneva inoltre per Kandler “spontanea”; perché altrimenti sarebbe risultato incomprensibile la fedeltà di Trieste all'Austria attraverso cinque secoli di regno.
“Una fedeltà – annotava Kandler – che resistette alle prove del ferro, del fuoco, delle sventure”.
L'approccio di Kandler restava quello di uno storico “coi piedi per terra”: vedeva il futuro di Trieste nel suo ruolo di città “immediata” dell'impero; autonoma, certo, ma pur sempre parte integrante dell'Austria. La visione di Kandler, in tal senso decisamente antinazionale, era squisitamente illuminista; e dimostrava ancora nel 1865-70 come fosse sopravvissuta una concezione di Trieste quale città-porto slegata dalla lingua e dalla nazione. Kandler infatti scrive spesso di “indigeni”, di “vecchi” e “autentici” triestini. Tuttavia è significativo come si rifiuti sempre di conferire loro un'identità “di popolo”. Il rifiuto di un'eccessiva autonomia si estende anche alla stessa idea di Mitteleuropa che giudica irrealizzabile; troppo vaga, troppo “vaporosa”, dalle pericolose conseguenze per il suo appoggio del capitale “tedesco”. Meglio scommettere su una Trieste che basa il suo successo sul Porto franco, ma saldamente ancorata all'Austria inferiore.
L'esclusione
dalla politica di Kandler non ne danneggiarono i successi culturali.
Il lavoro storiografico affiancava infatti quello cartografico: e proprio un anno prima della morte (18 gennaio 1872) presentava il compimento di cinquant'anni di studio: la “Carta plastica d'Istria e di Carsia”, dove raffigurava la terra tanto amata.
Il lavoro storiografico affiancava infatti quello cartografico: e proprio un anno prima della morte (18 gennaio 1872) presentava il compimento di cinquant'anni di studio: la “Carta plastica d'Istria e di Carsia”, dove raffigurava la terra tanto amata.
Di Zeno Saracino, 23.5.2020.
Bibliografia:
Giulio Cervani, Stato e società a
Trieste nel secolo 19: problemi e documenti,
Del Bianco, 1983
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