Cormons, 28 maggio 1872: nasce Valentino Pittoni

Valentino Pittoni nacque a Cormons (28 maggio 1872), figlio di un rappresentante di commercio. Fu proprio a Trieste, lavorando per la ditta del padre, che venne a contatto con la Società operaia triestina (fondata nel 1869). Come tanti pensatori triestini a lui contemporanei, Pittoni trascorse una giovinezza all'insegna del liberalismo: la società era “mazziniana”, cioè cercava la concordia tra le classi tramite l'uso di cooperative e “garibaldina”, con orientamento filoitaliano.
I primi anni irredentisti non vanno confusi con un'aderenza piena al governo liberal-nazionale allora imperante a Trieste: Pittoni amava l'idea della libertà sottesa alla società operaia, diffusasi dal 1860 tanto nella città-porto di Trieste quanto a Vienna. Quanto poco contasse l'affiliazione nazionale per Pittoni divenne evidente quando già nel 1896 si convertì al socialismo: dapprima incontrando il suo “pioniere” a Trieste Carlo Ucekar; successivamente con Viktor Adler, patriarca della socialdemocrazia austriaca, il cui rifiuto della violenza sarà poi oggetto d'ironia da parte di Lenin.
L'azione di Pittoni, a seguito della morte di Ucekar divenuto segretario del partito triestino e responsabile della commissione delle organizzazioni professionali di Trieste, intrecciò sempre la politica con la lotta sindacale, mirando ad avere risultati concreti, volti a migliorare le condizioni dei più umili.
Dopo il passaggio della Lombardia e del Veneto all'Italia il socialismo triestino s'indirizzava ormai a una forma internazionale consona alle caratteristiche della città e della stessa Austria-Ungheria. L'austro-marxismo al quale Pittoni aderiva prevedeva un'eccezionale attenzione alle nazionalità, assente nelle riflessioni teoriche di altri paesi, ma necessaria per la natura multinazionale austriaca. In particolare Pittoni tradusse il programma di Brünn/Brno (1899) della socialdemocrazia imperiale che teorizzava il principio dell’autonomia delle nazionalità. In quest'ambito denunciò le lotte intestine tra le diverse nazionalità interne all'impero, considerandole, specie quando coinvolgevano le classi popolari, “cannibalismo delle lotte di razza”.
“Conviene dunque – scriveva Pittoni - sostituire al nazionalismo e all’irredentismo borghesi il vero irredentismo, l’irredentismo proletario, che consiste nel coalizzare i popoli oppressi contro il comune oppressore per condurli all’emancipazione sociale”.
È interessante a questo proposito come Pittoni considerasse il destino di Trieste legato al suo entroterra austriaco, mutilato del quale sarebbe caduta preda di un'inarrestabile decadenza. In questo Pittoni anticipava le tesi di Angelo Vivante espresse con “Irredentismo adriatico” (1912).
Dopo aver svolto un ruolo di primo piano nello sciopero dei fuochisti del Lloyd Austriaco (1902), Pittoni continuò a intrecciare l'attività politica con quella sociale: sostenne le prime cooperative operaie (1903), permise la nascita del giornale socialista Il Lavoratore, diede una sede al movimento e sostenne Il Circolo di studi sociali volto a educare i lavoratori. Pittoni fu anche il secondo rappresentante dei socialisti austroungarici, dopo Viktor Adler, quando si creò un ufficio permanente d'informazione che coordinasse gli sforzi pacifisti dei socialisti italiani e austriaci.

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale devastò l'animo di Pittoni, specie quando il partito socialista austriaco votò a favore del conflitto; arruolato quale caporale nell'esercito firmò un saluto inviato a Friedrich Adler, incarcerato, perché aveva assassinato il primo ministro Karl von Sturgkh (21 ottobre 1916). Sturgkh era noto in Austria per il carattere dispotico e bellicoso; accanto alla rigida censura proseguì durante il conflitto a governare tramite decreti, rifiutandosi di riaprire il Parlamento. Il gesto disperato di Adler lo trasformò agli occhi degli oppositori del conflitto in un martire pacifista.
Quando il parlamento austriaco riaprì verso la metà del 1917 il cima politico si era irrimediabilmente avvelenato: Pittoni combatté allora un'azione di retroguardia, proponendo uno stato indipendente che comprendesse Trieste e i territori del Litorale, capace di conservare quel reticolo di legami economici (e linguistici) fondamenta della città-porto.
Quando Trieste passò sotto amministrazione italiana Pittoni tentò di continuare la sua attività, ma venne emarginato dal partito triestino; si trasferì allora dapprima a Bologna, poi a Milano (1920). L'avvento del fascismo e contemporaneamente il mutato clima politico interno al socialismo stesso infine convinsero Pittoni a “tornare a casa”. E fu così che nel novembre del 1924 ritornò nella capitale dell'impero di un tempo: Vienna. I socialdemocratici austriaci lo accolsero a braccia aperte: in breve tempo divenne il direttore del quotidiano Arbeiter-Zeitung del quale supervisionò la pubblicazione fino ai suoi ultimi giorni.
Valentino Pittoni si era ammalato al sorgere del conflitto mondiale; e come l'Europa della
Belle Époque si era avvelenata e disfatta nel massacro della Grande Guerra, così Pittoni stesso non si riebbe mai dalla morte di quel mondo che gli era parso pronto per una pacifica rivoluzione.
Mentre la “Vienna rossa” si vedeva accerchiata dalle forze reazionarie, Pittoni continuava a combattere in punta di penna dalle pagine del suo giornale, fino a morirne: era l'11 aprile del 1933. 

Zeno Saracino, 28.5.2020

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