19.6.1867: “Povero Principe...” Pietro Kandler ricorda la morte di Massimiliano I del Messico


(Di Zeno Saracino)
La storia degli Asburgo si è sempre caratterizzata, specie nella vulgata comune, per un irresistibile romanticismo sviluppatosi già nell'ottocento: in concomitanza con la nascita della stampa massificata e scandalistica, le vicende della famiglia imperiale conquistavano i primi titoli dei giornali. Senza dubbio questa popolarità condita di tragedia ne ha favorito il ricordo collettivo, specie tra coloro che non studiano la storia, ma ne sono semplici appassionati: il pensiero corre ovviamente a “Sisi” e a Francesco Giuseppe, a Maria Teresa d'Austria, all'arciduca Francesco Ferdinando…
Figure il cui dibattito storico involontariamente conserva sempre un afflato drammatico, quasi teatrale (oggigiorno filmico) che ne ha permesso l'immensa popolarità.
E indubbiamente i diversi territori dell'(ex) impero hanno saputo approfittarne: che si tratti del suo cuore più profondo, ovvero Vienna, città grande, troppo grande per la repubblicana Austria; ma senza dimenticare la stessa Trieste il cui Parco di Miramar rimane il terzo luogo culturale gratuito più visitato tra i territori amministrati dal Governo italiano. E proprio il “figlio d'Asburgo” commosse e commuove tutt'oggi per la sua tragica epopea, degna di una fiaba nera.
Un regnante ingenuo, forse troppo; un Nuovo Mondo che sognava trasformato in uno stato europeo; il tradimento di un compagno un tempo fidato; e infine la morte in terra straniera, abbandonato. Eppure queste semplici apparenze nascondono una storia diversa, densa di contrapposti interessi economico-politici. A partire dalla necessità per Napoleone III di creare uno stato cattolico satellite capace di riavvicinarlo al papato e all'elettorato cattolico francese; alle proteste del partito clericale perseguitato dal regime liberale di Benito Juarez; alla necessità di difendere il capitale francese minacciato dagli interessi americani.
Una serie di cause ed effetti mise in moto il fatale ingranaggio che convinse dapprima Napoleone III a inviare truppe francesi in Messico (1861) e infine a spedire sul trono un ingenuo Ferdinando Massimiliano d'Asburgo (1864).

Il regno in Messico è breve, confuso. Massimiliano durante il viaggio in mare preferisce scrivere un manuale di 600 pagine sull'etichetta di corte piuttosto che approfondire il Paese del quale si appresta a diventare imperatore; un errore che denota una notevole estraniazione mentale.
Massimiliano dovrebbe governare col sostegno dei conservatori; ma il suo animo liberale e progressista lo convincono a mantenere le riforme liberali di Juarez, a muoversi a favore dell'alfabetizzazione delle masse. Imperdonabile peccato: non restituisce i beni sottratti alla Chiesa. E scontenta così un po' tutti: liberali e conservatori, popolino e borghesia. Intanto l'ex presidente Juarez rifiuta qualsiasi conciliazione, dà il via a una sanguinosa guerriglia nel nord del paese.
Il ritiro dei soldati di Napoleone III, impegnato a sua volta contro la Prussia, segna la condanna di Massimiliano: intrappolato a Querétaro, viene catturato e fucilato da soldati messicani armati con fucili statunitensi. È il 19 giugno 1867.

L'evento destò fortissima impressione in tutta Europa; e ne rimane testimonianza nel quadro di Manet dove si consuma il paradosso di un repubblicano che dipinge la morte di un Asburgo ritraendo uno dei soldati del drappello di esecuzione con il viso del tiranno napoleonide.
La salma, riportata da quella stessa
Novara compagna di tante avventure, sbarcò a Trieste il 16 gennaio 1868; ma prima di proseguire in treno verso Vienna, sfilò per Trieste affinché i cittadini potessero lanciare un ultimo saluto a Massimiliano.
La città lo ricordò soprattutto quale benefattore e mecenate; era stata di Massimiliano la mostra sulla spedizione scientifica della
Novara, allestita nel Palazzo della Borsa nel 1860.
L'opinione pubblica si divise tra la commozione dell'“Osservatore Triestino”, giornale filoaustriaco, e “Il Cittadino” che preferì un quadro più sfumato, più freddo. Il Cittadino era convinto che la folla accorsa fosse stata lì convocata dalle minacce della gendarmeria e delle autorità pubbliche; stando invece all'“Osservatore” l'emozione era sincera.
È probabile fosse una mescolanza di entrambi i fattori; senza dubbio però la folla era troppo grande, troppo numerosa per poterla ricondurre solamente all'azione della polizia. Probabilmente il dolore era sincero: specie tra i popolani e la bassa borghesia, dove peraltro l'immagine romantica del giovane monarca fucilato colpiva l'immaginazione. Ma non mancavano i curiosi col senso del morboso, come sempre avviene in queste circostanze.
La Direzione di Polizia fu lesta a interpretare la presenza della folla come un positivo segnale del lealismo di Trieste informandone l'imperatore stesso affinché ne traesse un po' di conforto.
Un anziano Pietro Kandler nell'occasione osservò come la cittadinanza aveva superato ogni divisione nazionale; anch'egli interpretò il lutto generale come il segno di una rinnovata fedeltà agli Asburgo. Ne ritroviamo traccia in una lettera che indirizzò in quei giorni a Eduard Radonetz, all'epoca prefetto di Miramar:

Cavalier Radonetz dilettissimo,
l'amico Dr. Platner mi recò notizia che Ella voleva visitarmi, il che poi non mi attendeva sapendo che i suoi minuti erano misurati.

Mi permetto farle preghiera di voler far pervenire a Sua Altezza Im. R. il serenissimo Si. Arciduca Lodovico, l'unito piego che prego di leggere, e suggellare. Mi sono permesso di toccare anche l'Imperatore nostro, e li Arciduchi Genitori; mi è parso che in cose che sono di famiglia e non di governo, potessi prendermi qualche licenza, dacché ho l'onore di averli serviti.

Ah! come il popolo ed il popolaccio di Trieste si è contenuto in sì mesta occasione! Siamo ancora li vecchi - brontoloni - ma di cuore affettuoso, e buoni Austriaci - anche parlando italiano e sloveno, e serblico e greco. Anche le lettere si unirono al lutto pubblico - poesie tedesche, italiane, latine, laici e preti. Ed io prendo buon augurio che le lettere non si tengano silenziose.

Non ho potuto prendere parte al corteo, era in malessere - l'animo non mi poteva reggere - la via era troppo lunga - il cuore insanguinato- Povero Principe - e fare la morte del giustiziato! Fu un po' troppo di troppo.

Io la desidero meno travagliato - ancorché ciò sia inseparabile dalla carica - e di buon animo. Madama Radonetz si sarà abituata al clima di Vienna svariato ed apro, ed ai fracassi di grande città, e che si dà al buon vivere, come è delle grandi città tutte. Ad ambedue desidero salute e letizia.

In casa abbiamo dal primo gennaio una bambina, tutto procede felicemente. In tutta stima e dilezione.

Suo affezionatissimo

Kandler

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