Durante la produzione del film "La frontiera" |
L'infanzia di Franco Giraldi a Trieste.
Di Marinella Salvi Žbogar
Il covid ha portato via anche lui: Franco Giraldi, classe 1931, è morto a Trieste mercoledì sera.
Una vita piena, combattuta, libera. Nato da madre slovena e padre italiano dell’Istria, entrambi insegnanti, è stato fin da piccolo immerso in un ambiente multiculturale, tra il Carso e Trieste e poi a Roma, a vent’anni, dove vivrà nel mondo del cinema lasciando opere inspirate e potenti, molte purtroppo andate perdute.
Infanzia piena, particolare, come sono gli anni trenta e poi avanti sul confine orientale: con la bella stagione la famiglia vive a Barcola, rione sloveno affacciato al lungomare che porta dritto al castello di Miramar. Franco Giraldi ricordava sorridendo quelle spensierate estati di bambino, i vestiti nascosti tra gli scogli e le nuotate fino al Bagno Excelsior per non pagare l’ingresso e mescolarsi alla buona borghesia triestina che prendeva il sole dalle terrazze. E poi le lunghe camminate fino al Carso e ancora oltre per raggiungere Komen e Štanjel, due paesi del goriziano: anni in cui si cammina tanto, in una spola continua tra i paesini sparsi dell’altopiano, la bicicletta qualche volta e l’ultimo pezzo con il tram che dal costone carsico arriva in città. Padre e madre sempre in movimento, tra confino e peregrinazioni dall’Africa all’Italia e Franco passa molti anni a Trieste, a Barcola, dove vive con il fratello della madre e un paio di cuginetti.
1941, a Trieste arriva per la seconda volta il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato e suo zio è tra i 60 imputati: intellettuali di area liberale e cristiana, comunisti, funzionari o simpatizzanti del PCI, membri del TIGR sloveno. Nove sentenze di morte e 963 anni complessivi di carcere. La mamma di Franco porta i figli a Komen e poi a Štanjel così Franco riprende la scuola ma continua il suo peregrinare tra il Carso e Trieste. Vede da vicino la nascita delle formazioni partigiane, è ancora un ragazzino, e segnala gli arrivi dei tedeschi che rastrellano la zona. Assiste alla distruzione di Branik e di Komen e agli attacchi partigiani ai quali partecipa anche suo fratello Silvano inquadrato nel Battaglione triestino.
Agosto 1944, mentre torna in bicicletta da Trieste, vede una enorme colonna tedesca con autoblindo e carri armati; uno degli autisti, tutti italiani, gli chiede quanto ancora è distante Štanjel e lui capisce: pedala come un forsennato verso il suo paese e lancia l’allarme a tutti lungo la strada. La mattina dopo la battaglia è tremenda, i partigiani attaccano in forze, le perdite tedesche sono cospicue, molti tedeschi e italiani sono fatti prigionieri e trasferiti all’interno della Slovenia. Ma bastano pochi giorni e la scure della vendetta si abbatte feroce: mamma e figli scappano a Kruševica/Cruscevizza e da lì vedono alzarsi alte le fiamme che distruggono Štanjel.
Si torna a Trieste, allora, e i ragazzini di casa Giraldi sono ormai convinti della necessità di contribuire alla lotta di liberazione anche con i pochi mezzi della loro giovane età. La sorella di Franco, Giuditta, ormai diciottenne, raggiunge le formazioni partigiane nella Selva di Ternova e Franco si dedica a piccole azioni di disturbo con i suoi cuginetti Saša e Jano: tagliare le capote delle macchine tedesche, bucare le gomme, scrivere sui muri e, la cosa più rischiosa, aprire la porta di qualche bar e buttare dentro manifestini. Lo ha ricordato in una intervista, una ventina di anni fa: “Una volta ho tagliato la linea telefonica fra Barcola e Contovello: era un filo, un filo, non era niente: sono andato lì e ho tagliato, con un ragazzino della casa vicino. Ma poi lui si è spaventato quando sono arrivati i Tedeschi e ha detto che ero stato io e così sono stato interrogato a lungo da un ufficiale delle SS. Per tutto il pomeriggio a Via Bonafata, credo nella casa che era di Giorgio Strehler ed era rischiosissimo, ero veramente piccolo, 11 anni scarsi, se mi fossi spaventato, avrei fatto dei danni tremendi perché passavano tutti da casa nostra: quelli che venivano dal bosco e quelli che ci andavano. Ho fatto anche il furbo, li guardavo e avevo la faccia … a Roma si dice “la faccia come il culo”, proprio non facevo una piega. E’ finita bene, meno male.”
Franco Giraldi ricorda anche la Liberazione: “Il 30 aprile noi eravamo un gruppo di ragazzini. Abbiamo disarmato 16 vecchi poveracci ausiliari austriaci. Non abbiamo fatto niente: gli abbiamo solo tolto i fucili e loro se ne sono andati, era un esercito che raccoglieva anche i vecchi negli ultimi mesi e noi ci siamo armati così, da ragazzotti, e non abbiamo quasi sparato perché non c’era da sparare.”
I neozelandesi arrivano contestualmente agli jugoslavi a Trieste. Arrivavano i partigiani ma Giraldi per primi, da Barcola, vede i neozelandesi. Lo ricorda bene: “C’è stata la coabitazione fra le truppe alleate e il comando militare della IV Armata jugoslava: 40 giorni di coabitazione, poi trattative ad alto livello e il 12 giugno del ’45 gli Jugoslavi sono andati via ma in casa … era tale la gioia della vittoria, della cosiddetta democrazia, la vittoria sui Tedeschi, sui fascisti, che uno non stava molto a sottilizzare. Poi io orami ero in prima media, ma senza quasi avere toccato libro durante la guerra, con tutti i rastrellamenti, le cose, le fughe, i paesi bruciati… così ho voluto passare un anno in un collegio di preti a Gorizia. Ero un po’ matto, figurarsi, già non ero più religioso, già non me ne fregava più niente, avevo visto i partigiani, però avevo questa convinzione: che lì potevo isolarmi e studiare. Se stavo fuori, tra l’attività politica eccetera non avrei fatto niente”.
In casa c'è sempre un gran viavai di persone e dibattiti molto intensi. Un'area cosmopolita e internazionalista, senza dubbio, vicino alla quale comincia ad affacciarsi sempre più determinata la parte più nazionalista slovena che rivendica non soltanto libertà e giustizia ma anche proprietà territoriale.
Per un paio d'anni lo stesso Partito Comunista triestino è dominato dagli sloveni e sembra davvero che la città debba diventare la VII repubblica federativa jugoslava ma questo non piace a tutti, non a Franco Giraldi che contiua a sognare un mondo libero e comunista magari nel mito dell'Unione Sovietica: »Io lottavo per i diritti degli sloveni ma volevo che fosse applicato il Trattato di Pace: che Trieste restasse un territorio libero«
Partecipa a tante manifestazioni, si sente di appartenere a una parte, ma sente sempre più forti le contraddizioni, i cambiamenti, l'imporsi di nuove priorità: “Le manifestazioni nascono ideologiche, ma diventano nazionali. Sì, fino al ‘48 c’era confusione perché, per dire, gli operai del cantiere San Marco venivano a queste manifestazioni dove c’era la bandiera slovena ma loro erano internazionalisti, come tradizione operaia no? Ma vale anche per gli sloveni dei paesini della cintura triestina: Santa Croce per esempio, di assoluta tradizione internazionalista. Lì avevano superato il puro patriottismo, il nazionalismo e si legavano alla tradizione degli anni venti, mentre magari nel paese confinante c’era un sano nazionalismo sloveno. Insomma, una situazione molto complicata”
E gli americani a Trieste? Per Franco Giraldi significano cinema. “Odio implacabile” di Dmytryk, “La città nuda” di Dassin, poi Siodmak con “La scala a chiocciola”. Vengono recuperati tutti i film non proiettati durante la guerra. “Io andavo al cinema come un matto. Poi, finito il periodo della guerra, cominciava a nascere una certa meravigliosa critica cinematografica e due grandi, Callisto Cosulich e Tullio Kezich, che io ho sempre visto come maestri”.
E' il 1952 e Giraldi si trasferisce a Roma a casa di Gillo Pontecorvo cominciando così quella che sarà una ricca e varia attività professionale, dentro e a fianco del cinema. Girerà Per un pugno di dollari con Sergio Leone: "Sergio girava di giorno con Clint Eastwood e io di notte con Gian Maria Volontè" ma lascerà una profonda testimonianza spirituale in La frontiera e nella produzione televisiva Un anno di scuola, quel 1913/14 triestino con Edda, ragazza boema unica donna iscritta all'ultima classe del liceo, le sue ribellioni al conformismo ed i turbamenti dei suoi compagni maschi, fino ad una cena di maturità venata di malinconia proprio lo stesso giorno dell'attentato di Sarajevo, miccia che avrebbe fatto esplodere la guerra e cancellato un mondo.
Commenti
Posta un commento