5.2.2021: Kugy und sein Großvater

 

Kugy a Vučja Vas/Wolfsbach/Valbruna. Foto di Matilde Stern

Di Luciano Santin.

Era la metà degli anni ’90, quando per un’ottusità burocratica e forse anche per intransigenza nazionalista, rischiammo di perdere le ultime tracce terrene di Julius Kugy. Il mezzo secolo dalla morte prevedeva allora l’eliminazione della tomba del grande alpinista, scrittore, musicista, botanico, e commerciante che tanto bene incarna la grande fioritura economica, culturale e sportiva della Trieste a cavallo tra ’800 e ’900.

Un’azione “dal basso” e il provvido intervento del Comune (allora retto da Riccardo Illy, con vice e assessore alla Cultura Roberto Damiani), salvò la stele di pietra grigia dedicata a herr Doktor. E da allora ogni 5 febbraio al Camposanto di Sant’Anna si tiene una breve cerimonia di commemorazione, organizzata dal “Comitato Kugy”, con l’adesione delle associazioni alpinistiche italiane, slovene e triestine di Trieste.

Come molte altre figure oscurate nella storia locale, Kugy è stato a lungo negletto perché non in linea con una rappresentazione esclusiva e arrogante della città “fedele di Roma”. Per l’essere stato patriota triestino senza essere nazionalista italiano, in quanto “austriaco”, termine che allora significava “europeo”.

«Noi, avendo ricevuto un'educazione patriottica, diventammo buoni austriaci di vecchio stampo; ma senza sciovinismi esagerati, senza enfasi o retorica», annota in Arbeit, Musik, Berge – Ein Leben. «Eravamo stimati da per tutto e trovavamo uguale accoglienza amichevole nei circoli italiani e sloveni di Trieste come in quelli tedeschi».

Avendo ripetutamente - e doverosamente - celebrato Kugy, è forse il caso di soffermarsi su quella “buona educazione” e quel senso di rispetto che gli venne dalla famiglia, spostando l’attenzione a monte di un paio di generazioni, e precisamente al nonno materno, Jovan Vessel “Koseski”, un altro dei triestini obliati.

 


Jovan, figlio di un benestante Grundbesitzer, vede la luce nel 1798 a Spodnje Koseze, paesino della Slovenia centrale. Viene battezzato con il nome di Janež, ma poi in omaggio al luogo natale, assumerà il nom de plume di Koseski.

Studia a Lubiana, Celje, Vienna e Graz e si cimenta con le prime composizioni letterarie, in tedesco ma anche in sloveno. Potažba - Der Trost (una doppia composizione, in lingue diverse) primo sonetto sloveno, piace a Valentin Vodnik, che ne sceglie il titolo (Consolazione).

Dopo l’esordio lavorativo a Lubiana, il trasferimento a Trieste, presso la direzione finanziaria del Litorale. Nel 1848 diviene presidente della neocostituita associazione culturale Slavjanski zbor v Trstu, per darne presto le dimissioni a causa del taglio “politico” che il sodalizio intende darsi.

Pur propugnatore della lingua e dell’identità slovena, da fedele suddito di un impero multietnico, Koseski nega alla politica la possibilità di una declinazione in chiave nazionalista. E’ il 1848, momento della “primavera dei popoli”, con le rivolte che divampano per l’Europa, e Jovan Vessel scrive Nemškutar, una poesia sugli sloveni inconsapevoli che si vergognano della loro patria, ma anche Naprej, slavenski Jug, fiero attacco ai rivoluzionari ungheresi.

Traduce in sloveno Dante, Byron, Schiller e Puskin, e scrive in prosa e poesia. I suoi sonori esametri gonfi di romanticismo piacciono al popolo, mentre sul suo valore i critici si dividono, pur se gli viene riconosciuto il merito di aver arricchito il lessico della sua lingua. Con il passare del tempo però la sua opera verrà meno apprezzata, mentre crescerà l’astro del quasi coetaneo France Prešeren.

Dal matrimonio con Juliana Theresia Thomann, figlia di grossista triestino, nasceranno due maschi e cinque femmine, la maggiore delle quali, Julija, sposerà Paul Kugy, arrivato dalla Carinzia per cercare fortuna nel grande centro portuale e sarà madre di Julius Kugy.

A causa di un’operazione mal riuscita il cinquantaquattrenne Koseski perderà la sensibilità agli arti, e si ritirerà in pensione, vivendo ancora a lungo, sino al 1884 (anche se i critici – è stato detto - lo avevano seppellito molto prima).

Così viene ricordato il «poeta sloveno che con lo pseudonimo di Koseski gode ancora molta stima tra i popoli jugoslavi» sempre in Arbeit, Musik, Berge – Ein Leben.

«Scrisse alcune piccole cose sue, ma la maggiore importanza per il suo popolo e per la relativa letteratura sta nell'aver tradotto in sloveno poesie, ballate e drammi di Schiller e nell'essersi avvicinato, verso la fine della sua lunga vita, alla Divina Commedia. La traduzione dell'“Inferno” arrivò fino alla stampa, quella del “Purgatorio” soltanto al compimento del manoscritto, mentre il “Paradiso” gli fu negato. Era uomo di grande ingegno e di gentili maniere all'antica. Quando compii dieci anni cominciò a darmi del lei e, poiché mia madre glielo rinfacciò, esclamò con profondo rispetto: “Ma frequenta il ginnasio!” E un giorno, quando senza volere gli pestai forte un piede, il vecchio mi disse con quel suo fare gentile e bonario: “Coi piedi propri devono camminare i giovani, non con quelli degli altri”».

La prossima volta che, sperabilmente, ci potrà essere il piccolo assembramento davanti alla stele di Julius Kugy, sarà il caso di fare pochi passi in più, fino alla tomba che ricorda “Giovanni Vessel”, un uomo che più di centocinquant’anni fa aveva capito con profetica lucidità il danno esiziale che i partiti nazionali avrebbero potuto arrecare (come infatti poi fecero) a una città internazionale quale Trieste. E che, al di là dell’opera letteraria, ha con il suo pensiero e il suo esempio lasciato una traccia chiara di apertura e di concordia lungo la quale si è poi felicemente mosso il nipote.

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