Ahi il vento mutava, il dolore dilagava,
e io attraverso la città teresiana
vuota, ancora avvolta nell’oscurità;
mi dirigevo alla stazione chiamata centrale,
prendevo il treno in cerca di un male
minore - pensavo - Londra, Praga, Milano.
Milano è stata.
E qui vivo in esilio
nella terra straniera, fra gente meridionale
di cui non capisco i segni e le parole.
Ahi, Tri(e)ste Trieste, cara città natale
madre mia adorata, sconsolato amore
come farti riconoscere dal figlio lontano
come dirti che il tuo destino italiano
è solamente dolore e morte.
Triste Tri(e)ste, in Monàde di Ferruccio Fölkel
L'eredità triestina di Ferruccio Fölkel, a cent'anni dalla nascita (1921-2021)
Di Zeno Saracino
Ricorre
oggi, 10 aprile 2021, il centesimo anniversario dalla nascita di
Ferruccio Fölkel (Trieste, 1921 – Monfalcone, 12 agosto 2002).
Come con Carolus Luigi Cergoly, il cui lascito alla città sopravvive
solo grazie all'attivismo di associazioni e singoli intellettuali,
anche nel caso di Ferruccio Fölkel la sua eredità triestina è
stata dimenticata; nonostante rimanga uno tra i poeti di maggiore
levatura per la Mitteleuropa, capace come l'amico-rivale Cergoly di
reinventare il triestino, di conferirgli quella dignità letteraria
che ancora latitava nel provincialismo degli anni Settanta e Ottanta
del novecento.
Ma chi
era Ferruccio? L'incertezza identitaria del poeta, così come la sua
dimenticanza tra i triestini, compaiono già nelle discussioni sul
nome. Il poeta preferiva "Fery" che è la versione
ungherese con il quale firmava le lettere; ma per l'eredità ebraica
da parte paterna avrebbe voluto chiamarsi Aron, il fratello devoto di
Mosè. D'altronde, accanto a Freud, l'autore preferito di Fölkel era
Svevo; e Aronne era il primo nome di Ettore Schmitz.
L'incertezza linguistica si rifletteva,
in Fölkel, in quella identitaria; la studiosa Lilla Cepak lo
definiva "triestino ed italiano, un po' ebreo, un po' slavo, un
po' ungherese ed anglofilo". Una mescolanza inclassificabile
tale da trasformarlo, secondo la definizione auto ironica di Fölkel,
in un bastardo della Mitteleuropa, "un
figlio di puttana del defunto impero".
Il
legame – diversamente dalla nostalgia di Cergoly – di Fölkel con
la Trieste asburgica era molto forte; risaliva infatti ai racconti
del padre che aveva assistito allo sfacelo imperiale. D'altronde
Fölkel ammetteva che stare "In mia compagnia era un'impresa
asburgica" alludendo al suo carattere difficile, a tratti
tagliente.
Ferruccio
Fölkel nacque nel 1921 e studiò in Italia fino a quando la
promulgazione delle leggi razziali non l'obbligò ad andarsene,
tornando a Trieste appena nel 1948. Durante la Seconda Guerra
Mondiale ebbe buoni rapporti con gli angloamericani - in particolare
Londra gli rimarrà sempre indelebilmente impressa - e anche nel
Territorio Libero di Trieste Fölkel si ritrovò a suo agio. Dopo
aver lavorato nel pubblico quale impiegato del Conservatorio di
musica "Tartini", nel 1956 Fölkel scelse di compiere il
grande passo e spostarsi a Milano, disgustato da una Trieste
asfittica, al cui confronto la nuova capitale italiana
della cultura degli anni Cinquanta e
Sessanta sembrava sfavillare di promesse. Fölkel rivestì così un
ruolo importante all'interno della casa editrice Mondadori,
inaugurando i famosi "Oscar"; e iniziò una feconda
collaborazione con riviste di spicco quali il "Mondo",
"Tempo presente", "Fiera Letteraria" e
"Quartiere". Eppure in quest'ambiente milanese dove a
ragione Fölkel avrebbe potuto confondersi, amalgamarsi con facilità,
avvenne un letterario ritorno a casa: Fölkel riscoprì nei decenni
un cosmopolitismo, una caratura internazionale nelle terre del
Litorale Austriaco
che mai avrebbe sospettato; mentre al confronto Milano gli apparve
sempre più piccola, sempre più assurdamente provinciale. Giungendo
a definire "una miniera" le storie e gli spunti del
Litorale, da
scoprire man mano come gli strati geologici di uno scavo
archeo-letterario.
La prima,
ufficiale, pubblicazione di Fölkel fu Monàde.
33 poesie del giudeo (Parma Guanda,
1978) che si caratterizzò per essere un'opera prima che
rappresentava già un classico completo di per sé stesso; un unicum
anche tra i poeti, laddove le prime opere manifestano sempre le
ingenuità della gioventù. Molto note - anche per la facilità con
cui le si classifica nel genere della letteratura ebraica, pur
essendo, come tutto Fölkel del resto, "inclassificabili" -
le cosiddette Storielle ebraiche
(Milano, Rizzoli) che si distinguono per la nota biografica auto
denigratoria: Fölkel "vive a Milano dove ha sempre tentato di
lavorare assai poco".
Tra gli
storici Fölkel è invece noto per un libriccino piccolo, ma
straordinariamente incisivo: "La
Risiera di San Sabba. Trieste e il Litorale Adriatico durante
l'occupazione nazista"
(Milano, Mondadori 1979) che definiva un "pamphlet polemico".
Un'opera che volutamente si proponeva di scuotere gli animi verso la
fine degli anni '70, denunciare quant'era per Fölkel un assordante
silenzio. Il libro conteneva qualche piccolo errore storico, ma
nell'insieme fu influente; e va contestualizzato in quel clima di
preoccupazione di Fölkel "per la giovane democrazia italiana"
durante gli anni di piombo.
La terza opera di Fölkel fu, nel 1983, "Ricordi del 5744" (Pordenone, Studio Tesi): un'opera mista prosa-poesia che affiancava a 21 poesie altrettanti "commenti". Si discuteva di temi familiari, triestini, su amici e amori lontani; ma altrettanto su Trieste, la sua storia e sull'ebraismo in generale. Significativo il commento dell'autore stesso, secondo cui "le Poesie del 5744 le ho composte in italiano, con frasi e parole tedesche, ebraiche, slovene. Nella nostra complessa diversità, grazie alle tre civiltà/inciviltà che ci condizionarono, e negli ulteriori apporti risiede l'essenza della mia scrittura. Gioisco della mia diversità".
Nello stesso anno Fölkel pubblicò con Carolus Luigi Cergoly una tra le sue opere forse di maggiore successo commerciale; quel "Trieste città imperiale" che conteneva rispettivamente un saggio di Fölkel intitolato "Giallo e nero era il mio impero" e una trattazione di Cergoly nota come "Il pianeta Trieste". L'interpretazione andava - in quegli anni, quando ancora non era di moda scrivere degli Asburgo - decisamente controcorrente, recuperando l'eredità irrisolta dell'Irredentismo Adriatico di Angelo Vivante.
I decenni che seguirono impegnarono Fölkel nelle "ricerche nel meraviglioso mondo dell'ebraismo nell'Europa centrale-orientale dall'inizio del '700 alla Shoah ai giorni nostri" approfondendo il "suo risvolto più strepitoso e affascinante, l'umorismo". Le "storielle" che pubblicò successivamente si caratterizzano in tal senso per essere "storie con un umorismo amaro e corrosivo" attinte da un personale archivio di oltre "tremila storielle, leggende, detti, battute rapide e feroci".
Ma
come scriveva Fölkel, quale "sapore" hanno i suoi testi?
Il poeta aveva recuperato da Umberto Saba
una semplicità di linguaggio che tuttavia non impediva letture
approfondite del testo; una limpidezza stilistica comprensibile ai
più. Nel contempo, in parallelo a Cergoly, Fölkel utilizzò innesti
linguistici tedeschi, sloveni ed ebrei ritornando al plurilinguismo
triestino.
Fölkel
inoltre nelle sue opere mescola solitamente due elementi che, in
apparenza distinti, in realtà risultano strettamente intrecciati. Da
un lato c'è il Fölkel che si interessa di sociologia, di storia, di
attualità; che agli stilismi fini a sé stessi preferisce la
costruzione di una storia di Trieste documentata e forte di ricerche
sul campo; a cui affianca lo studio sugli ebrei; e sugli ebrei
all'interno dell'impero asburgico, quando era stata loro offerta la
possibilità di una crescita culturale e religiosa drammaticamente
interrotta dal conflitto mondiale. Fölkel ha inoltre un rapporto odi
et amo con Trieste; come scrive in
Monàde è
la città "Che amare è
impossibile/ e odiare anche".
Dall'altro,
tuttavia, accanto all'elemento storico il poeta continua a riflettere
ed elaborare un'identità personale sofferta che fatica a trovare una
collocazione. Non solo storica o sociale, quanto religiosa: Fölkel
si definisce infatti un ebreo "non credente".
Le incertezze, le ritrosie, i dubbi però non
impediscono al poeta un'orgogliosa rivendicazione, soprattutto
linguistica: "Italiano - lingua
per me meticcia - poiché penso in tedesco, ungherese, ebraico,
inglese. Anche in triestino. Forse per molti è un orizzonte
mediocre; per me è sempre ancora vita".
Ci
piace concludere questo piccolo omaggio a Fölkel con l'augurio che
lanciò per la città, dalle pagine di "Ultimo epilogo":
"Sessant'anni
per sorgere. cento per fiorire. Altri sessanta per decadere. Non oggi
risorgerà. Non domani. Trieste riprenderà la sua funzione di
amalgama quando il volto non avrà più bisogno d'esser rifatto.
Quando avrà certificato funzione e identità. Dignità
nell'identità. Finite le nazionalità e i nazionalismi, non le
Nazioni".
Bibliografia:
- Renate Lunzer, Irredenti
redenti. Intellettuali giuliani del ‘900,
Trieste, Lint editoriale, 2009.
- "Testimone
dello scacco e del tramonto". Fery
(Ferruccio) Fölkel. 1921 - 2002,
mostra documentaria, 13 dicembre 2012 - 2 febbraio 2013.
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