Tri strme nad zalivom / Tre cuori nottetempo, di Jernej Šček

Jernej Šček (foto di A. Karupovič)

 Il prof. Jernej Šček si è classificato al secondo posto per il Premio Cergoly 2021, col suo racconto Tri strme nad zalivom (Tre cuori nottetempo).

Abstract:  https://drive.google.com/file/d/1427co7132vZztn7Haom3SsVuel__gM0Y/view?usp=sharing

Pubblichiamo la presentazione che ha pronunciato durante la cerimonia di premiazione il 19.9.2021 sul palco dello Slofest.

"Spoštovane in spoštovani, dober dan, gentili ospiti, buona sera,

ker računam na sorodna, če že ne naklonjena ušesa med slovenskimi slušatelji, in ker lahko, če se vam zahoče, kratko zgodbo Tri strme nad zalivom berete v materinščini, bom nadaljeval s sosedsko italijanščino z željo po novih znanstvih in doznanstvih.

Dunque, non basta una vita per dire tutta la verità, figuremose 5 minuti. Ad ogni modo vorrei provare a ribadirne qualcuna. La bozza del racconto, che ho per l’occasione ampliato nei contenuti e limato nello stile, nasce quest’inverno per le pagine festive del Primorski dnevnik dall’esperienza del quotidiano: la corsa nottetempo di un giovane professore in cerca di refrigerio intelettuale sui sentieri di casa, tra le storie della sua storia. Il suo dialogo interiore prende piede, divenendo racconto vissuto, esperienza letteraria, la magia del reale, avventura di incontro e scontro col tormentato Novecento, che ancora ci accomuna e divide. Un viandante che, oltrepassando frontiere spaziotemporali tra muretti a secco e fragranze di salvia, tra rovi molesti e profetici ginepri, nei ripidi prati di sommacco calpestato, incontra i fantasmi del proprio e del nostro passato. Come un candelabro si impunta su due piedi, ancorato alla terra ed al mare che ci abbraccia, la gamba sinistra sui Balcani, quella destra sullo Stivale, gli occhi puntati sulle tre punte dell’Alto Adriatico, un uomo di frontiera che naviga sulle Alpi e scala l’Adriatico, pesca i tonni al mattino, al meriggio pota le vigne, la sera studia e scrive, seduto a tavola con jota e fritto misto.

Da quest’abbozzo contenutistico propongo due o tre sfide riflessive:

a) L’unico scenario possibile per la città nel Golfo volge lo sguardo verso il Centroeuropa. É lì che gravita il nostro senso strategico, economico, culturale. Gli unici a non capirlo – o a non voler farlo – siamo noi stessi. O perlomeno quel zoccolo duro tra di noi che reclama il diritto di usufrutto esclusivo sulla città per averla eroicamente unificata a Roma. Un destino da angiporto e da binario tronco è ciò che ereditiamo dal secolo breve. Se ne rendono conto, dopo cent’anni di solitudine, i commercianti di Corso Italia, l’economia portuale, il settore terziario e finalmentedulcis in fundo – anche la cultura intellettuale. Alcuni benarrivati segnali di consapevolezza mitteleuropea ci devono far saltare su uno degli ultimi treni in partenza per il domani.

b) É dal 1382 che parliamo europeo, da quando abbiamo scelto gli Asburgo per non darla vinta alla rivale Venezia. L’unica vera Trieste – ma potrei estendere il discorso a quel che rimane dell’Alpe Jadran/Alpe Adria, è europea e multietnica, magrisiana. È la Storia a far giustizia a questo colloquio identitario, compresenza di comunità e culture minoritarie ed autoctone accomunate dallAdriatico mare. Nell’ultimo decennio l’asse politico-culturale è oscillato in tal modo verso posizioni esclusiviste, che abusano di Trieste per un’ideologia purosangue pseudostorica e politicizzata, da relegare il valore della multietnicità – come detto realtà storica – ad una posizione di parte. Come se il Triestin patoco fosse frutto di ideologie necessariamente sinistroidi e filoaustriache, persino separatiste, quindi sovversive e sostanzialmente antinazionali.

c) Non sono solo la menzogna e l’ingiustizia ad essere ingiuste, lo è anche l’ignoranza. Tanta ricchezza culturale e linguistica è stata soffocata, ma non del tutto perduta. Il plurilinguismo che vado labirinticamente ricercando ha bisogno di reciprocità: altrimenti che vantaggio può essere, che scelta puoi avere, se conosci due lingue, ma puoi usarne solo una, perché il tuo vicino non conosce la tua? Il bilinguismo perfetto, miraggio nel deserto, funziona così: due Triestini che parlano due lingue, ognuno la propria, entrambe di casa, capendosi a vicenda. Per aprire gli spazi del dialogo bisogna soddisfare la condizione dell’uguaglianza linguistica.

d) Come per la pluralità espressiva, così pure per quella culturale. Per rimanere tolleranti verso l’altro, bisogna esserlo verso se stessi. Il passato di questa terra europea è, qui ed ora, ad ogni passo, dietro ogni angolo, palpabile educatrice di umanità. Su ogni baredo e pastino a picco sul Golfo rincorre ed accompagna quel podista nottetempo, che è disposto a riconoscerne i diversi volti, ereditarne le voci per rifletterne e tramandarne i contenuti. Multiculturalità non significa aculturalità: bisogna custodire ciò che ci contraddistingue, affinché la convivenza possa diventare reciproco arricchimento. Concludo tornando al racconto: »La comune verità di questa terra spunta dal tramonto per chi vuole ancora sentir battere i molti cuori della frizzante convivenza nel golfo.«

Hvala za pozornost. Grazie per l’attenzione."

 Jernej Šček

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