18.3.2023: Luciano Santin su Carlo VI e il Porto Franco.


 Discorso di Luciano Santin, presidente del Circolo della stampa, della Società triestina di cultura Maria Theresia e socio del Club Touristi Triestini in occasione del 304° anniversario della promulgazione del Porto Franco di Trieste/Trst/Triest

Che cosa ci facciamo noi, qui, sotto questo antico manufatto? Siamo dei patetici austriacanti fuori dal tempo e dalla realtà, come probabilmente penseranno parecchi di quelli che ci vedono?

Siamo degli irrecuperabili nostalgici, che si rifiutano di prendere atto dei trecento e più anni che sono passati da quando questo signore – già, Signore di Trieste – ha istituito il porto franco, cornucopia delle fortune mercantili della città?

Siamo questo, o altro?

Io credo che, ancorché non più giovanotti, noi siamo gente che guarda al futuro. Traendo, certo, ammaestramento dal passato. Alcuni, vedendo che gli uomini continuano a commettere gli stessi errori, confutano il motto latino “Historia magistra vitae”. Invece la storia è un’ottima insegnante. Purtroppo ha dei pessimi allievi. Disattenti, disinteressati, e dunque incapaci di imparare.

Allora noi, oltre che per rendere omaggio a un sovrano che, di fatto ha aperto l’era moderna, pur appartenendo in certa misura al Medioevo, siamo qui per vedere che cosa ci può raccontare, di utile, il pezzo di storia incarnato da Carlo VI.

Lo riassumerei in tre parole. La prima è internazionalità.

Trieste ha questo irrevocabile destino, assegnatole dalla geografia. Che è più importante della storia. La storia può vincere delle battaglie, ma alla lunga la spunta la geografia.

Trieste è punto di incontro tra mondi, il bacino danubiano e quello Mediterraneo, tra lingue e civiltà latine, germaniche, slave, levantine.

Carlo VI, con il Porto Franco ha certamente fatto gli interessi delle sue terre, ma ha anche sancito e sostenuto questa funzione di interfaccia, di incontro.

Poi il Novecento, lo sappiamo, con i fanatismi nazionali e ideologici, ha cercato di fare di Trieste un punto di scontro e non di incontro. Con i risultati che si sanno.

Farei mia la frase di Julius Kugy, esponente della più schietta mentalità triestina e della vocazione all’interscambio della città. Come sapete era un import export. Quando la sua ditta, dopo il Ribaltòn, cadde in rovina, Herr Doktor scrisse: eravamo re, siamo diventati schnorrer, parola yiddish che indica mendicanti già gentiluomini.

Apertura agli altri mondi, allora, che sono il nostro mondo, al di là di ogni legittima e rispettabile identificazione nazionale.

Di qui la seconda parola, per riassumere l’operato di Carlo VI, e la visione del mondo sua e degli Asburgo.

La parola è pace. Trieste avvia la sua grande storia europea dopo la pace di Passarowitz. L’abbiamo già detto, siamo luogo d’incontro o di scontro. Tertium non datur.

Noi potremmo – dovremmo - essere punto di ricaduta degli interessi di un’area vasta, delle possibilità di mediazione e accordo. E dovremmo, prima di tutto in noi stessi, triestini di ogni lingua e idea, proteggere e coltivare questo bene vitale, prezioso e fragile. Quanto fragile ce lo insegna ciò che sta accadendo nel nostro antico retroterra.

D’altro canto la pace è stata la linea a lungo seguita dagli Asburgo alii bella gerant, tu, felix Austria, nube. Le altre potenze hanno cercato nel resto del mondo fortune militari e sottomissioni di popoli, l’Austria – sino alla tragica deflagrazione di Sarajevo - non è stata colonialista. Ha cercato la sua espansione per altre vie.

E ha riconosciuto cittadini i suoi popoli, con pari dignità e diritti

Dunque l’ultima parola, per Carlo VI, è diritti. Umani e civili. Se ne parla tanto oggi, ma c’è più retorica che sostanza. Si dice che in realtà se Carlo VI ha proclamato Trieste porto Franco, a farla fiorire è stata sua figlia, Maria Teresa.

Vero. Ma com’è stato che dopo mille anni di trasmissione ereditaria dei diritti sovrani per linea esclusivamente maschile, una donna ha potuto reggere le sorti del Centro Europa, contraddicendo la legge salica?

E’ stato perché Carlo VI ha emanato la Prammatica sanzione, che ha aperto i diritti ereditari alle femmine. E scusate se è poco. Per questo ho detto prima che, pur venendo dal Medioevo, ha spalancato i battenti della modernità. Oggi che si parla tanto, e giustamente, di parità di genere, andrebbe ricordato questo personaggio che ha fatto una rivoluzione dall’alto.

L’altra metà del cielo dovrebbe ricordarsene. Perché si è trattato di un passo enorme. Paragonabile all’elezione di un papa femmina.

Beh, vocazione internazionale di Trieste, pace, diritti delle donne. Argomenti non secondari e non passatisti, credo, anche se ce li insegna un uomo del primo ’700. Grazie.

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