13.5.2016: Maria Teresa d’Austria, un ritratto in occasione del genetliaco. Di Luciano Santin


Lungo tutto il corso del ’900 Trieste è stata afflitta da un’ossessione nazionalista italiana, che come diceva Klaus Gatterer, sarebbe da indagare con gli strumenti della psicanalisi e non con quelli della storiografia. Un’ossessione che ha generato danni enormi, i cui strascichi continuano e che ha anche occultato, cancellato la memoria patria, sostituendola con una costruzione immaginaria, enfatizzata e spesso mistificata. Lo stanno dimostrando anche certi aspetti delle celebrazioni della Grande guerra. Come se una guerra, poi, si potesse celebrare.
Questa situazione di città che è stata oggetto di una mutazione genetica indotta, e alla quale è stato imposto di negare se stessa, questa situazione schizoide ha fatto sì che siano stati occultati e dimenticati personaggi di fondamentale rilievo per l’esistenza di Trieste, e per il suo sviluppo sino al ruolo di grande centro internazionale.
Il più importante di questi penso sia Maria Teresa d’Austria, di cui oggi ricordiamo il genetliaco.
Il “penso” affermato e qui sottolineato, vale per tutto quanto dirò in seguito. Preciso di non essere uno storico, solo un cittadino interessato alle sue radici. A un certo punto della mia esistenza, quando ero ancora abbastanza giovane, mi sono accorto che a scuola mi avevano insegnato alcune cose, ma che, in merito a Trieste, mezzo millennio era stato liquidato con il distico di una canzonetta patriottica. Infranse alfin l’italico valore, le forche e l’armi dell’impiccatore.
Il lunghissimo rapporto tra Trieste e l’Austria, era stato riassunto in questa formula goffa quanto falsa. E di lì ho cercato di documentarmi e di pensare.
Bene, Maria Teresa, dunque, importantissima per Trieste, e per l’Austria, che governò dal 1740 al 1780. Importantissima poi per l’intera Europa, con cui dovette confrontarsi, e anche scontrarsi.
La prima caratteristica straordinaria di Maria Teresa è il suo essere donna. Carlo VI, suo padre, aveva provveduto a spianarle la via del trono emanando la Prammatica sanzione che contraddiceva la legge salica della successione esclusivamente maschile, vigente dai tempi di Carlo Magno.
Ma certamente quell’opportunità Maria Teresa dovette difendere con le unghie e con i denti, dalle mire di quanti volevano strapparle terre e titolo. Combatté per buona parte della sua vita di sovrana, e fu costretta a costruirsi un puntello maschile che venisse riconosciuto dagli altri pretendenti. Prima con la figura del marito, Francesco Stefano di Lorena, poi, dopo la morte di quest’ultimo, con l’associazione al trono del figlio Giuseppe II, che regnò assieme a lei per un decennio.
Quando viene incoronata, Ressl – per usare il diminutivo con cui la chiamavano in famiglia – ha 23 anni. Dall’età di 14 ha seguito le riunioni del Consiglio del trono. Oltre al tedesco e all’ungherese e all’italiano conosce il francese, lo spagnolo e il latino.
Deve guidare una vasta estensione di territori prossima allo sfacelo. All’orizzonte si profilano la Rivoluzione industriale e l’Illuminismo, ma l’Austria è ancora immersa nell’oscurità del Medioevo.
«Mi sono trovata senza danaro, senza credito, priva di una armata, senza esperienza e conoscenza di me stessa», dirà in seguito la sovrana. «E, infine, anche senza consiglio, poiché ciascuno dei suoi membri, in un primo momento, voleva aspettare e vedere come si sarebbe sviluppata la situazione».
Quelli che hanno il dovere di esserle vicino e di sostenerla, per ragioni di opportunismo preferiscono stare a vedere se la ragazza è in grado di farcela, ipotesi se vogliamo abbastanza improbabile, secondo il metro dell’epoca.
La situazione è infatti drammatica, plastica e complessa. Sono soprattutto due personaggi a muoverle guerra, a tenaglia: uno è Carlo Alberto di Baviera, che occuperà la Boemia e si farà incoronare a Praga, per essere poi sconfitto, addirittura con l’occupazione di Monaco da parte delle truppe austriache. L’altro è Federico di Prussia, artefice della modernizzazione e della militarizzazione tedesca, quel Federico il Grande, che Maria Teresa chiamava semplicemente l’“uomo malvagio”, l’aveva attaccata senza neppure la dichiarazione di guerra, che alla fine riuscirà a strapparle la Slesia.
Non è il caso di soffermarsi qui sui complicati scontri diplomatici e bellici che Maria Teresa si trovò ad affrontare, quanto semmai su un paradosso. Lei era una donna di pace, che sostanzialmente dovette combattere subendo i conflitti.
“Non scordartelo mai, meglio una pace mediocre che una guerra fortunata” scrisse a Giuseppe il figlio destinato a succederle. E tentò di costruire la pace attraverso un intreccio di matrimoni, facendo suo il motto di Massimiliano I d’Absburgo “Alii bella gerant, tu, felix Austria, nube”: altri facciano guerra, tu felice Austria, sposa.
Questo suo impegno le valse il titolo di “suocera d’Europa”, e anche qualche accusa di aver sacrificato il destino dei figli (ne aveva avuti ben 16, cinque maschi e undici femmine) alla ragion di stato.
Ci può essere del vero, naturalmente: gli Asburgo si consideravano i primi servitori del loro Paese, ed è probabile che per Maria Teresa questo dovere investisse anche le scelte matrimoniali e dinastiche della famiglia. Nelle sue memorie scriverà: «Per quanto amore abbia avuto per la mia famiglia e i miei bambini, non avendo risparmiato per loro né zelo, né fatica, né attenzioni né lavoro, li ho sempre posposti al bene generale dei miei Paesi perché ero persuasa in coscienza che tale era il mio dovere e che la loro prosperità esigeva che io fossi la loro prima e comune madre»
Non funzionò la pace per via coniugale. Parenti serpenti vale anche nelle dinastie. E Maria Antonietta, andata in sposa a Luigi XVI di Francia, come sapete finì decapitata con il marito.
Questo tragico destino apre però una prospettiva sulla quale riflettere. Si può pensare: quanto meno lo penso io, come detto da non storico, che l’azione riformatrice svolta da Maria Teresa possa aver risparmiato all’Austria una rivoluzione come quella toccata alla Francia. Invece di una rottura violenta, sanguinosa, un dispiegarsi di innovazioni capaci di traghettare l’Austria dal Medioevo all’età moderna.
Perché, con Maria Teresa e con Giuseppe II, che ancor più di lei fu un riformista illuminato, e che non a caso evidentemente era suo figlio, il Paese cambiò in modo profondo.
Il primo problema da affrontare fu quello finanziario. Quando la giovane sovrana sale al trono, l’erario piange: la Carniola, che dovrebbe versare all’Impero 100.000 fiorini annui, risulta indebitata per quasi tre milioni. Il debito della Carinzia ammonta a quattro milioni. La colpa, come scrive Victor Lucien Tapie, va attribuita alla disinvoltura “con la quale i membri dei ceti concedono a sé stessi o ad altri personaggi gratifiche e possedimenti. Vige poi il principio, stranamente accettato, che la nobiltà non è tenuta a partecipare alle contribuzioni il cui peso ricade interamente sui contadini”. C’è qualcosa di attuale, mi pare.
La macchina dello stato ha bisogno di risorse per mantenere un esercito, perché, come detto, l’Austria da subito è in guerra con quanti vogliono spolpare i possedimenti asburgici. Maria Teresa incarica il conte Friedrich Wilhelm Haugwitz di risolvere il problema, e questi elabora un piano finanziario, incardinato sul governo centrale, che garantirà a Vienna 15 milioni di fiorini l’anno.
“Più ci penso, più mi sembra chiaro che in nessun luogo nei domini, l’industria e il commercio abbiano le cure necessarie; e tuttavia essi sono l’unico mezzo per creare benessere al paese e attirare denaro straniero”.
E’ una riflessione che Maria Teresa comunica, per lettera al suo cancelliere, il conte Urfeld, e in seguito alla quale saranno aboliti dazi interni e pedaggi privati.
Con un senso pratico tutto femminile, l’imperatrice, pur cattolicissima, abolirà poi dei privilegi ecclesiastici, incamerandone i beni, e sciogliendo, tra l’altro, l’ordine dei Gesuiti.
Maria Teresa largheggerà poi in norme che favoriscono l’inserimento nella vita del Paese di quanti non sono cattolici. Gli ebrei, ad esempio, specie qui a Trieste, a Vienna si dice che le cose non siano andate nello stesso modo. Anche se l’editto di tolleranza di Giuseppe II, suo figlio, io credo continui, e non rompa, con l’intelligente e inclusiva Weltanschauung teresiana. E poi gli ortodossi, cui concesse di costruire la loro prima chiesa, condivisa da greci e serbi, nel sito oggi occupato San Spiridione, il maestoso tempio del Maciachini. Una voce popolare attribuiva a Maria Teresa addirittura un prestito per realizzare l’opera, però non so se sia vero, penso si tratti di una leggenda.
Guardiamo poi all’obbligo scolastico. Era una questione che potrebbe essere benissimo accantonata, in momenti tanto difficili, per lo Stato. E poi la misura, al momento della sua approvazione, risulta sgradita tanto alle classi medio alte, che temono l’elevazione culturale delle masse rurali, quanto a queste ultime, in quanto distoglie i ragazzi dal lavoro dei campi.
Ma Maria Teresa introduce il “diritto-dovere” della scuola, perché crede nel valore dell’istruzione gratuita e pubblica, come testimoniano le sue parole: «Il popolo va tolto dall’ignoranza: a esso va data istruzione al fine di poter migliorare la propria condizione, essere utile a se stesso, allo Stato, alla prosperità della collettività».
Gli otto lustri di regno sono – dicevamo – una grande stagione di riforme: il Codex Theresianus, costato quindici anni di lavoro, e forte di 800 articoli, alla fine non sarà promulgato, ma vengono comunque introdotte delle norme di grande importanza come l’abolizione della caccia alle streghe e della tortura, la limitazione delle sentenze capitali, il controllo sull’acquisizione di beni da parte dei monasteri, e anche sulle donne monacate a forza. Le duercose erano correlate.
In epoca teresiana viene creato un catasto che è ancora base e modello per la proprietà terriera e immobiliare, nelle regioni oggi parte dello stato italiano e anticamente amministrate dagli Asburgo.
Sotto la sovrana viene inoltre affrontato il problema dell’elevata mortalità infantile, e incoraggiata la pratica dell’autopsia per favorire la ricerca medica.
E cosa fece Maria Teresa nei confronti di Trieste, città che non ha una statua o una via che la ricordi, solo questa targa apposta anni fa per iniziativa privata dell’Associazione Maria Theresia?
Tutte le azioni del suo assolutismo illuminato ebbero evidentemente un riflesso sulla vita cittadina. Ma ci furono anche azioni specifiche: si è perso il ricordo dell’Ospedale Teresiano, poi Caserma Grande, alla radice dell’attuale via Carducci, esiste invece ancora il molo Teresiano, che chiude la Sacchetta e che fu il primo serio intervento portuale assieme al molo San Carlo, costruito anch’esso, sull’omonimo relitto tra il 1743 e il 1751.
L’azione più importante però è stata l’abbattimento delle mura e l’incorporazione di questa parte della città, il Borgo Teresiano, alla città vecchia, amministrata da un municipio che del porto franco non voleva saperne, e che rifiutava i nuovi arrivati, gli immigrati proveniente dai quattro punti cardinali.
Questo era il distretto camerale, acquistato con i fondi della Camera aulica di Vienna e da essa amministrato. Ad un certo punto Maria Teresa decide, in sostanza, che Trieste è troppo importante per il bacino danubiano, per lasciare che se ne occupino i triestini, che hanno prospettive corte.
Purtroppo questo 2016 è un momento in cui la salute dell’Unione europea appare un po’ malferma, con spinte divisive e nostalgie confinarie, accompagnate da rimbalzi neocentralistici in Italia, però il ragionamento sulla funzione centroeuropeo-mediterranea, se vogliamo latino-germanico-slava di Trieste, credo abbia oggi lo stesso valore di allora, quale senso primo per l’esistenza di una città in cui si incrociano i grandi assi cartesiani dell’Europa.

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