Nel dedicare quasi un’intera annata di
convegni, “lectio magistralis”, proposte di intitolazione di vie,
di apposizione di targhe e di erezione di monumenti, al 300°
anniversario della nascita dell’imperatrice consorte Maria Teresa
d’Asburgo Lorena, Trieste è sembrata scordarsi di un ulteriore
concomitante trecentesimo anniversario, che invece meritava di essere
posto nella dovuta luce.
Ci riferiamo all’Editto del 2 giugno
1717, tramite il quale l’Imperatore Carlo VI dichiarò la libera
navigazione del mare Adriatico. Un atto, questo, in genere
sottovalutato, forse anche perché non di immediata comprensione. Fu,
al contrario, un provvedimento della massima importanza non soltanto
per il futuro di Trieste ma per la stessa evoluzione del diritto
internazionale e, nello specifico, di quello marittimo.
Vediamone, allora, gli antefatti.
Sappiamo del motto Bella gerunt alii, tu felix Austria nube, con
la quale il re d’Ungheria mattia Calvino avrebbe inteso commentare
la tendenza degli Asburgo a privilegiare – per la loro politica di
espansione territoriale – i matrimoni dinastici piuttosto che le
guerre. Se per alcuni duchi d’Austria questo fu anche vero, certo
non lo fu per l’imperatore Carlo VI, il cui regno fu
contraddistinto da una serie di guerre quasi senza soluzione di
continuità.
Al di là dei bei principi, la potenza
militare è sempre stata, ieri come oggi, il principale strumento
della politica estera di uno stato, ancor più dell’economia. Nel
caso di Carlo VI più che di figli o figlie da accasare egli ebbe a
disposizione, per la sua politica di potenza, un’arma davvero
eccezionale, che non mancò di utilizzare ogni qualvolta se ne
presentava l’occasione: la spada del Principe Eugenio di Savoia, il
massimo condottiero dell’Austria e uno dei principali che l’Europa,
nell’intera sua storia militare, abbia mai saputo esprimere.
Grazie a quest’abile condottiero,
rifiutato dalla Francia perché ritenuto inidoneo al mestiere delle
armi, alla fine della Guerra di Successione Spagnola conclusasi con i
trattati di Utrecht del 1713, e di Rastatt del 1714, Eugenio di
Savoia poté aggiungere ai possedimenti di Carlo VI nuovi territori
quali parte del Ducato di Milano, le Fiandre (delle quali lo stesso
Principe fu nominato governatore), il Regno di Napoli e la Sicilia.
Con questo gli Asburgo, da casa regnante mitteleuropea si
proiettavano niente meno che nel centro del Mediterraneo, con
l’intento di sviluppare una politica di potenza marittima pure in
quel settore.
Nel 2019 si terranno, in questa città,
le commemorazioni per un ulteriore trecentesimo anniversario: quello
dell’editto di Carlo VI concernente il Porto Franco di Trieste. In
tale occasione qualcuno ricorderà pure la concomitante proclamazione
del Porto Franco di Fiume, indicando in tali provvedimenti la volontà
dell’imperatore di aprire i suoi possedimenti ai commerci via mare.
Tutto vero, questo, ma è anche riduttivo. Carlo VI, infatti, nominò
un’ulteriore città Porto Franco, qui solitamente dimenticata:
Messina. E se consideriamo pure quest’ultimo provvedimento ci
appare, con chiarezza, il piano geo-strategico – certamente
elaborato da Eugenio di Savoia - del quale abbiamo ora accennato:
uscire dall’ambito continentale, con una politica di potenza nel
cuore stesso del Mediterraneo (la Sardegna, acquisita pure quella
dall’Austria, la cederà invece ai suoi parenti, che da allora si
avvarranno del titolo di “Re di Sardegna”).
Tornando al 1717, tale disegno,
certamente molto ambizioso, trovava però sul suo cammino un grave
ostacolo: il collegamento terrestre di Vienna con l’Italia
Meridionale era del tutto impraticabile e, via mare, l’unico suo
sbocco marittimo - Trieste, Fiume e pochi altri chilometri di costa -
era precluso dalla Serenissima Repubblica di Venezia, che di questo
mare si considerava, ed era considerata, la padrona.
A quel tempo, infatti, pure i mari, al
pari delle terre, erano considerati proprietà, o “dominium”, di
questo o quel Sovrano. Così era per l’Adriatico che il Papa
Alessandro III, in forza della sua qualità di supremo vicario in
Terra niente meno che di Dio, nel 1177 avrebbe assegnato in proprietà
esclusiva a Venezia (“Il mare è vostro e vi appartiene come la
sposa allo sposo”, disse al Doge, che non se lo fece ripetere
due volte), diritto questo che per secoli la Serenissima Repubblica
aveva fatto valere alla lettera, considerando come un ladro da punire
chiunque, senza il suo permesso, osasse anche solo estrarre il sale
che a quel mare apparteneva (com’era il caso della “incorreggibile”
Trieste), e in forza dello stesso principio attaccava ogni nave
sorpresa a solcarlo senza il suo permesso.
Poco più di trecento anni più tardi, ed
esattamente dopo la scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo
Colombo il Papa Alessandro VI, alias Roderic Jancol de Borja,
italianizzato Borgia, sempre in forza dei poteri conferitigli quale
vicario del Signore in Terra aveva assegnato, con bolla del 1494
(Trattato di Tordesillas), niente meno che tutto il Nuovo Mondo,
intendendo con ciò quanto già non appartenente a un sovrano europeo
(di fatto, tutto quel che si trovava al di fuori dell’Europa), ai
cattolicissimi, e da lui prediletti anche per ragioni di sangue,
regni di Spagna e di Portogallo. Questa spartizione correva,
infatti, nell'Atlantico lungo un meridiano (la cosiddetta “raya”
dal termine – foneticamente quasi identico – che spagnoli e
portoghesi usano per definire la linea divisoria dei capelli), posto
a 370 leghe a ovest delle isole di Capo Verde, linea che, raggiunti i
Poli, continuava pure lungo il meridiano opposto, dividendo così la
Terra esattamente in due. Tale suddivisione assegnava il dominium
dei rispettivi sovrani non solo sulle terre emerse, scoperte o da
scoprire, ma anche sui mari a iniziare dall'Atlantico, e per
rafforzare il concetto la bolla papale aveva previsto persino la
scomunica per chi, senza permesso, avesse osato solcarli.
Finché in Europa tutti i regnanti erano
cattolici, questi non poterono fare altro che buon viso a cattivo
gioco ma quando, nel corso del Secoli XVI e XVIII il protestantesimo
prese a svilupparsi lungo i Paesi rivieraschi dell'Atlantico, da qui
presero a solcare l'Oceano pirati e corsari alla ricerca di galeoni
spagnoli da predare che delle bolle papali, comprese le minacce di
scomunica, non sapevano che farsene.
Fu quindi proprio nei protestanti Paesi
Bassi che un filosofo giusnaturalista, certo Ugo Crozio, iniziò ad
asserire che i mari dovevano essere liberamente navigabili per scopi
commerciali da chiunque, tesi queste che nel 1609 mise in un suo
libro dal titolo “Mare Liberum”, che da allora prese a circolare
provocando accesissimi dibattiti.
Tornando a Carlo VI, è probabile che
proprio il principe Eugenio di Savoia, che fra Belgio e Olanda per
anni aveva combattuto, lo abbia informato delle nuove idee che in
merito alla libertà di navigazione proprio da quelle parti stavan
maturando, suggerendogli con questo lo strumento per risolvere il
problema dei collegamenti con i suoi nuovi possedimenti nel
Mediterraneo.
A favore di una forzatura in Adriatico
in linea con le idee di Ugo Crozio giocava un’eccellente momento
favorevole, da non lasciarsi sfuggire: in quegli anni la Serenissima
Repubblica di Venezia, ormai in decadenza, era sotto attacco dei
turchi, che dopo averle sottratto la Morea, o Peloponneso,
minacciavano gli altri suoi possedimenti nell’Egeo, con tentativi
d’irruzione pure in Adriatico. La sua speranza era pertanto riposta
proprio nel Sacro Romano Imperatore o, meglio, nel suo Generale che
nella primavera del 1717, dopo aver battuto i turchi a Petrovaradin,
stava muovendo alla conquista di Belgrado, costringendo così la
Sublime Porta a distogliere lo sguardo dal Mediterraneo, per
concentrarsi sui Balcani.
Ecco allora che il 2 giugno 1714 Carlo VI
ebbe l’occasione di affermare, da una posizione di forza davvero
inattaccabile, che da allora in poi il Mare Adriatico sarebbe stato
liberamente navigabile da tutti, e per sottolineare il concetto
avvisò che qualunque aggressione a una sua nave sarebbe equivalsa a
un atto di guerra. Avviso, questo, che se espresso da Carlo VI non
poteva in alcun caso essere preso per un bluff e, per Venezia,
la prospettiva di vedere il principe Eugenio marciare a capo delle
sue armate nella pianura veneta al fine di vendicare una nave
asburgica attaccata era, in quel momento, assolutamente da evitare.
La Serenissima non poté, pertanto, far
altro che incassare, e con ciò fu inferto un colpo mortale
all’intero diritto marittimo del tempo. Stavolta ad affermare la
libertà di commercio e di navigazione sui mari non erano, infatti,
soltanto dei liberi pensatori scismatici o dei corsari ma, con un
proprio atto, niente meno che l’ “Imperatore dei Romani”, che
con ciò apriva la strada ai suoi successivi provvedimenti in favore
di Trieste.
L’ambizione di Carlo VI (e dietro a lui
del Principe Eugenio, artefice della Pace di Rastatt) di fare
dell’Austria una potenza mediterranea durò, comunque, lo spazio di
un ventennio. Francia e Spagna mal tolleravano l'affermarsi, dinanzi
alle loro coste orientali, di un pericoloso concorrente, e nel corso
della Guerra di Successione Polacca prima si coalizzarono contro
l’Asburgo, quindi la Spagna invase le Due Sicilie, sconfiggendo nel
1734 gli imperiali nella battaglia di Bitonto.
La prima flotta dell’Austria, composta
da navi napoletane e siciliane con relativi equipaggi, risalì così
l’Adriatico, rifugiandosi nel porto di Trieste. Fallito l'ambizioso
progetto del quale abbiamo detto queste navi non erano però più
utili alla politica degli Asburgo, ora intenti a contendersi con i
turchi il dominio sui Balcani. Il Principe Eugenio reputò allora più
proficuo disarmarle, portando cannoni ed equipaggi a rafforzare la
sua flotta del Danubio. Le navi di quella prima avventura militare
marinara degli Asburgo deperirono così in rada e una di queste, la
San Carlo, nel 1751 servì da basamento per un molo della
città portuale voluta da Maria Teresa, che prenderà appunto il nome
di San Carlo. Questa, però, è un’altra storia.
Enrico
Mazzoli
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