Nell’anniversario della nascita, avvenuta l’8 settembre 1838, il 
nostro socio dr. Enrico Mazzoli, saggista, esploratore e autore della 
biografia: “CARL WEYPRECHT – Nel 175° anniversario della nascita”, lo 
ricorda così:
"Molti sono i triestini che, pur essendosi distinti nei campi della 
scienza, della tecnica, dell’arte e nella storia della marineria, dopo 
il 1918 sono stati letteralmente “cancellati”, rei di non aver fatto 
parte della peraltro ristretta cerchia degli “italianissimi”, come ai 
felici tempi dell’Austria amavano farsi chiamare gli irredentisti.
Eppure alcuni di questi nostri “dimenticati” si distinsero in opere 
di eccellenza tali da farli risaltare pure a livello internazionale, e 
il caso che ora andiamo a trattare è forse il più eclatante.
Carl Weyprecht  venne alla luce a Darmstadt (Granducato d’Assia) l’8 settembre 1838.
 Per questo i testi scientifici e le enciclopedie di tutto il mondo lo 
fanno passare per uno scienziato tedesco e, ovviamente, la Germania ci 
tiene a ricordarlo come tale, ma la verità è diversa: quello che le 
pubblicazioni dei maggiori organismi scientifici internazionali indicano
 come l’uomo che dette una svolta alla storia della ricerca scientifica 
all’età di 17 anni aveva, infatti, lasciato per sempre la sua terra 
natale per venire a Trieste dove entrò nella Marina Militare Austriaca, 
perdendo così la cittadinanza dell’Assia.
Effettuate le sue prime crociere nel Mediterraneo, nel 1859 egli partecipò, quale cadetto imbarcato sulla nave a ruota Curtatone,
 all’unico scontro navale di rilievo di quella che in Italia è ricordata
 come Seconda Guerra d’Indipendenza, quando di fronte a Zara l’unità 
austriaca costrinse  alla ritirata la ben più potente fregata francese Impetueuse, seriamente danneggiata da alcune ben assestate cannonate.
Nominato alfiere di vascello fu assegnato, quale istruttore, alla nave scuola Hussar ma, scoppiata nel 1866 un’altra guerra con l’Italia, fu imbarcato sulla fregata corazzata Drache,  che il 20 luglio prese parte alla battaglia navale di Lissa. All’inizio dello scontro il comandante della Drache fu ucciso da una granata e Weyprecht, che era al suo fianco, preso il comando dell’unità ordinò il fuoco concentrato sulla Palestro,
 che dopo poco saltò in aria. Fu insignito dell’Ordine della Corona 
Ferrea di III Classe, una delle più alte decorazioni dell’Impero che gli
 dava diritto al titolo nobiliare, che però non chiese mai.
Conclusa la pace, Weyprecht fu imbarcato sulla nave a ruota Elisabeth, inviata in Messico per una missione di supporto all’arciduca Ferdinando Massimiliano, dal 1864 imperatore del Messico.
 Qui Weyprecht si fermò un anno, testimone delle vicende che porteranno 
alla tragica conclusione che sappiamo. Rientrato a Trieste e nominato 
tenente di vascello fu assegnato alla nave oceanografica Triest,  impegnata in varie missioni scientifiche.
Già prima, fra un imbarco e l’altro, egli s’era trovato a risiedere a
 Trieste anche per periodi piuttosto lunghi, iniziando ad amare questa 
città e il suo clima sovrannazionale. Ora, con le campagne 
oceanografiche che si svolgevano nei soli mesi estivi mentre nel 
restante periodo dell’anno si procedeva a Villa Necker allo studio dei 
dati raccolti, a Trieste egli aveva preso stabile dimora, finendo per 
considerarsi un triestino.
Arriviamo così al febbraio del 1872 quando, dopo alcuni anni di 
residenza stabile nella città adriatica, Weyprecht  chiese e ottenne la 
cittadinanza austriaca, con pertinenza alla città di Trieste.  
Nell’ordinamento austriaco la pertinenza era molto più di una semplice 
residenza: si trattava di una vera e propria cittadinanza locale, che di
 norma si acquisiva con la nascita, e un individuo rimaneva pertinente 
alla città natale – con i conseguenti diritti e doveri previsti dagli 
Statuti cittadini – anche dopo aver lasciato la città per dei decenni.  
Acquisendo, pertanto, la pertinenza alla città di Trieste Weyprecht 
divenne triestino a tutti gli effetti, parificato anche legalmente a 
coloro che triestini lo erano per nascita.
Sostenere, come fanno in Germania, che Carl Weyprecht fu uno 
scienziato tedesco è pertanto errato: a parte che all’età di 17 anni 
egli era divenuto apolide, all’epoca che ora andremo a considerare (e 
che fu la più significativa della sua esistenza) egli era un cittadino 
austriaco, pertinente alla città di Trieste, originario dell’Assia.
Appassionatosi alla ricerca polare,  dopo  una crociera ricognitiva 
effettuata nel 1871 fra le Spitzbergen e la Novaja Zemlja riuscì a 
ottenere i necessari appoggi (Hans von Wilczek) per una grande 
spedizione polare austro-ungarica per la quale fu pure realizzata una 
nave polare che egli concepì in modo che non potesse essere stritolata 
dai ghiacci – la Admiral Tegetthoff.  Scandalizzando un po’ 
tutti, che ritenevamo idonei alle spedizioni polari solo i nordici, 
Weyprecht decise di ingaggiare per questa sua impresa marinai della 
costa istriana, quarnerina e dalmata, che smentendo tutti i pronostici 
dei critici si riveleranno perfettamente all’altezza dell’impresa.
Partita dall’Europa nel giugno del 1872, la Admiral Tegetthoff rimase imprigionata fra i ghiacci per due anni interi, fino alla scoperta di quella che fu battezzata “Terra di Francesco Giuseppe”,
 il lembo più settentrionale dell’intera Eurasia. La storia della marcia
 di seicento chilometri, fra andata e ritorno, effettuata per 
raggiungere il capo più settentrionale della Terra di Francesco 
Giuseppe, così come quella fra i ghiacci – veramente ai limiti delle 
possibilità umane – per tornare in Europa, sono da ascriversi fra le 
grandi imprese dell’Uomo, similmente a quella meno estrema, ma ben più 
reclamizzata, dell’inglese Shackleton. Su una cosa tutti sono concordi: 
questa ritirata fra i ghiacci, che ogni logica vorrebbe destinata al 
fallimento, fu resa possibile grazie all’energia e al carisma di 
Weyprecht, che seppe tenere coesa la squadra anche nei momenti più 
difficili portando tutti alla salvezza.
Rientrato a Trieste (dove tutti, Podestà in testa, festeggiarono  “il
 loro concittadino Cap. Weyprecht”) egli scoprì che la spedizione 
l’aveva profondamente cambiato: il clima sovranazionale che per due anni
 aveva respirato sulla Admiral tegetthoff  dove i suoi 24 
componenti si capivano fra loro esprimendosi in sei lingue, peraltro non
 dissimile da quello che caratterizzava tutta la Marina Militare a.u. e 
pure la sua città d’adozione,  l’aveva portato a maturare una visione 
internazionalista ispirata al socialismo, che però non poteva esternare –
 se non confidandosi con poche fidatissime persone – per non subire la 
sicura condanna del suo ambiente e la conseguente fine di ogni sua 
attività scientifica.
Anche i dati scientifici così faticosamente raccolti nel corso della 
spedizione non lo soddisfacevano: considerò quanto più utili avrebbero 
potuto essere quei dati, se comparati con analoghe osservazioni 
effettuate in altri punti dell’Artico e anche del Globo e, mettendo 
assieme visione politica e scientifica,  in occasione di vari congressi 
internazionali prese a sostenere che, nel nome della scienza, tutti gli 
Stati avrebbero dovuto mettere da parte i loro egoismi nazionali, 
elaborando progetti scientifici di vasta portata da porre in essere in 
un’ottica di fattiva cooperazione. Per far questo – sosteneva pure – era
 necessario inserire la scienza fra le materie oggetto di trattati 
internazionali, cosa che fino allora non era mai accaduta.
Weyprecht si mise quindi a elaborare un progetto di ricerca 
scientifica internazionale, di portata fino allora nemmeno mai 
immaginata, consistente nella realizzazione – da parte degli Stati 
aderenti al progetto – di una rete di stazioni di ricerca nelle regioni 
polari, che per un anno intero avrebbero dovuto lavorare in base a 
programmi condivisi e concordati, con successivo pieno scambio dei dati 
raccolti.
Si giunse così a un trattato internazionale che diede vita a quello 
che prese il nome di Anno Polare Internazionale 1882-1883, considerato 
l’atto di nascita della ricerca scientifica internazionale.
Weyprecht, però, non vide la realizzazione del suo sogno: colpito 
dalla tubercolosi, conseguenza di un’infezione polmonare presa nel corso
 della spedizione, ma di certo favorita dallo stress e dal superlavoro, 
si spense a Michelstadt il 29 marzo 1881, dove il giorno precedente 
aveva voluto farsi trasportare in treno, al fine di poter vedere per 
un’ultima volta il volto di sua madre.
L’anno Polare Internazionale 1882-1883 ebbe un seguito con le 
esplorazioni sincronizzate in Antartide del 1901-1903, con l’Anno Polare
 Internazionale del 1932-1933 e con l’Anno Geofisico Internazionale del 
1957-1958. Evento, questo, che vide l’estensione del progetto di ricerca
 concepito da Weyprecht allo studio dello spazio.
Nel 2007-2009, 125° anniversario della nascita del progetto, la 
comunità scientifica internazionale ha infine dato vita ai  concomitanti
 e collegati Anno Polare Internazionale, Anno Eliofisico Internazionale,
 Anno Internazionale del Pianeta Terra e Anno Geofisico Elettronico 
Internazionale e, nell’occasione, negli Stati Uniti vi è stata una vera 
fioritura di articoli e di pubblicazioni concernenti l’opera di 
Weyprecht. 
Quando anche Trieste si ricorderà di questo suo concittadino, dedicandogli una via degna della sua statura?"
Quando anche Trieste si ricorderà di questo suo concittadino, dedicandogli una via degna della sua statura?"


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