A trent'anni dalla morte di Carolus L. Cergoly


Di Piero Purini Purich.
Tratto da "O-44", Periodico dell'Anpi-Vzpi provinciale di Trieste, n. 15, settembre 2017, per gentile concessione.


Trent'anni fa, il 2 maggio 1987, veniva stampato il suo terzo romanzo, L’allegria di Thor; il giorno dopo si spegneva Carolus L. Cergoly, uno dei più interessanti scrittori, poeti ed intellettuali triestini della seconda metà del 900. Su di lui calava quasi immediatamente il silenzio dell’intera “intellighenzia culturale” che in questo modo continuava quell’ostracismo che aveva segnato l’intera vita di Cergoly a causa delle sue scelte politiche, culturali e linguistiche controcorrente, in una città che da sempre ha messo al margine intellettuali scomodi o non allineati.

Cergoly, nato come Carlo Luigi Cergoli Serini da Valentino Cergoli e Gille Serini, discendente dalla nobile famiglia croato-ungherese Zrinski, mostrò fin da giovane una spiccata attitudine alla letteratura, abbracciando il movimento che in quel momento poteva essere considerato il più innovativo e provocatorio del panorama culturale italiano: il futurismo. In realtà, quando il ventenne Cergoli pubblicò la sua prima raccolta poetica Maaagaalà con lo pseudonimo di Sempresù, il futurismo in Italia era già nel pieno della sua parabola discendente, con i suoi maggiori esponenti ormai marginalizzati o convertiti a nuove correnti più consone al fascismo di governo e con il regime che in ambito culturale tentava di prendere le distanze da movimenti troppo di avanguardia e di creare un’arte nazionale e fascista meno provocatoria e digeribile per tutti.

La prima opera di Cergoly dunque era già anticonformista rispetto al “mainstream” culturale, se non altro per ragioni meramente anagrafiche. Tuttavia già in questa prima opera di ispirazione futurista, pur scritta in italiano e non in quel particolare uso del dialetto che sarà l'elemento distintivo della lirica cergoliana, si iniziava a delineare quell'originalissimo uso del lessico e delle parole che caratterizzò la produzione poetica del Cergoly maturo ed anziano.

Bloccato nella possibilità di esprimersi dall'angusto mondo culturale triestino di epoca fascista (in questi anni la produzione di Cergoly si limitò ad alcune raccolte di liriche e all'attività teatrale come critico, librettista e regista), la vera maturazione di Cergoly in campo politico e conseguentemente artistico, avvenne durante la guerra e con il suo ingresso nelle unità partigiane, prima in quelle di Giustizia e Libertà, poi nella Garibaldi-Natisone, inquadrato nella Brigata Fontanot. In realtà la sua esperienza partigiana non si concretizzò in azioni rilevanti e probabilmente era motivata più che altro dal tentativo di sfuggire alla leva nelle formazioni collaborazioniste, ma lo mise in contatto con il movimento antifascista italiano e sloveno, aprendogli nuovi orizzonti politici che più tardi descrisse con straordinaria lucidità poetica nella raccolta “Le clandestine”.

Da questo momento in poi la vita di Cergoly iniziò ad essere quella di un personaggio controcorrente: nel ’44 fece parte del gruppo segreto Mani (Movimento Amici della Nuova Iugoslavia) e durante i cosiddetti “quaranta giorni” di amministrazione jugoslava della città di Trieste divenne redattore capo de “Il nostro avvenire”, il quotidiano favorevole agli jugoslavi. Per Cergoly, borghese se non addirittura aristocratico di nascita, si trattava sicuramente di una scelta non in linea con il suo ceto di appartenenza, dal momento che la maggior parte della borghesia cittadina non gradiva assolutamente l'occupazione jugoslava, mentre era la classe operaia triestina a caldeggiare, almeno fino alla rottura Tito-Stalin del giugno del ’48, l'unione della città alla Repubblica Federativa di Tito. Con il ritiro delle truppe jugoslave, il 9 giugno del ’45, “Il nostro avvenire” cessò le pubblicazioni e fu sostituito da un altro quotidiano, “Il Corriere di Trieste”, di cui il 12 agosto Cergoly divenne direttore responsabile. In questo ruolo ampliò l'orizzonte del quotidiano, trasformandolo da un piccolo organo d'informazione locale, ad un giornale di respiro internazionale, che nelle sue pagine affrontava tematiche culturali ed economiche di respiro europeo. La capacità di approfondimento e la pacatezza dei toni risalta particolarmente se messa a confronto con la faziosità ideologica e/o patriottica degli altri giornali triestini dell'epoca (Il Lavoratore, Primorski Dnevnik, le Ultimissime, La Voce Libera, La Prora e soprattutto il Giornale di Trieste - dal ’54 di nuovo II Piccolo - quest'ultimo portavoce di una visione fanaticamente patriottica e privo di qualsiasi analisi economica e sociale della città giuliana).

Con la creazione del Territorio Libero di Trieste, Cergoly e il Corriere di Trieste presero definitivamente posizione a favore delle tesi indipendentiste, sempre comunque da un punto di vista imprescindibilmente antifascista. Il giornale mantenne un'attenzione forte alle tematiche economiche e sociali del territorio e riuscì ad arruolare nella redazione Fabio Cusin, un altro grandissimo intellettuale triestino che condivise con Cergoly il destino di una pesante “damnatio memoriae” post mortem. Cusin, fine intellettuale di origine ebraica, storico e consigliere comunale per il Fronte dell'Indipendenza, fu autore di lucide quanto caustiche analisi della situazione triestina, individuandone la causa nella volontà italiana di tenere immobile la città. Nella sua “Antistoria d'Italia” delineò con un'acutezza valida ancor oggi i vizi storici, la deresponsabilizzazione etica e l'ipocrisia come l'origine dell'inefficienza e della degenerazione della vita sociale e della democrazia in Italia. Per le sue prese di posizioni politiche Cusin perse addirittura il posto di lavoro all'università (chiaramente il mancato rinnovo del contratto fu pretestuosamente mascherato come una questione amministrativa).

Cergoly continuò per tutto il periodo del Territorio Libero a scrivere a favore dell'indipendentismo, individuando in questo l'unico modo per eliminare le violenze etniche, per dare pari diritti a tutte le componenti nazionali della sua popolazione e per risolvere i problemi economici di una città geograficamente al margine dell'Italia. Quello di Cergoly fu sempre un indipendentismo di sinistra, antifascista, aperto verso tutti i gruppi nazionali e le classi che componevano la realtà triestina, rispondendo in questo modo anche alle accuse dei comunisti che descrivevano gli indipendentisti come nostalgici dell'Austria o addirittura come sostenitori dell'occupazione nazista di Trieste. Le prese di posizione a favore dell'indipendenza valsero a Cergoly attacchi frontali pesantissimi da parte dell'intero arco politico, dai comunisti vidaliani, ai neofascisti, ai democristiani, alla curia vescovile, alla stampa, al mondo della cultura ufficiale (Carpinteri e Faraguna gli dedicarono perfino un episodio del noto fumetto satirico-nazionalista Mirko Drek).

Il 31 marzo del ’53 Cergoly si dimise dalla direzione de Il Corriere di Trieste per divergenze politiche (probabilmente perché il suo indirizzo indipendentista non era gradito alla proprietà che riceveva finanziamenti dalla Jugoslavia); con il Memorandum di Londra dell'anno seguente e la spartizione del TLT tra Italia e Jugoslavia l'attuabilità del Territorio Libero si rivelò definitivamente compromessa. Cergoly si ritirò dal giornalismo e dalla politica. La fine del miraggio indipendentista lo portò a rifugiarsi in un mitteleuropeismo nostalgico in cui l'Impero della sua infanzia veniva sempre più descritto come un mondo di ordine, di correttezza, di eleganza e di buon senso quasi fiabesco, un'occasione perduta che avrebbe evitato a queste terre dolori e lutti. Anche in questi temi Cergoly fu del tutto estraneo alla cultura “ufficiale” triestina che, dopo il ritorno di Trieste all'Italia, il massiccio afflusso di esuli a Trieste, la partenza dei triestini per lAustralia conobbe se possibile un ancor maggior riflusso patriottico. Perciò la quasi totalità dei lavori di Cergoly poterono essere dati alle stampe solo negli anni '70, quando la protesta del ’68 arrivò anche a Trieste e scalfì una visione culturale ufficiale asfittica ed ancora fortemente centrata su temi nazionali. Nel 74 Cergoly riuscì a pubblicare con la piccola casa editrice Kirchmayer “Inter pocula”, una raccolta di poesie di argomenti vari in dialetto triestino, in cui, però, coraggiosamente affrontava con il suo caratteristico stile anche argomenti mai toccati dal “mainstream” culturale e storico: “Le Adriatiche” (una serie di liriche che inserivano Trieste nel più vasto contesto adriatico e mitteleuropeo in un'epoca in cui l'Italia era l'unico orizzonte geografico-culturaìe), “Die Katastrophe” (poesie sulla caduta dell'Austria-Ungheria, un avvenimento che aveva provocato nella popolazione triestina la percezione di una vero e proprio disastro, cancellato compietamente dalla storiografia successiva), “Le clandestine” (liriche sulle tragedie nascoste della seconda guerra mondiale a Trieste e nella Mitteleuropa, sulla Shoah, sul collaborazionismo fascista, sulla lotta partigiana). E anche lo stile di Cergoly risultava controcorrente: uso del dialetto, ma non poesia dialettale; un dialetto infarcito da termini di altre lingue, tedesco, sloveno, croato, ebraico, yiddish, greco, ossia da tutte quelle componenti culturali che la Trieste nazionalista aveva cercato di cancellare; un lessico orgogliosamente triestino, ma di alta cultura, mediato forse da Giotti con cui condivideva la delicatezza, ma non la tematica troppo intimista; un lessico che andava oltre il convenzionalismo dell'uso esclusivo dell'italiano, con un coraggio che nemmeno Svevo e Saba avevano avuto; un linguaggio e temi al tempo stesso familiari ed aristocratici che con delicatezza e sfrontatezza sfidavano la cultura ufficiale triestina chiusa nella sua ottusa visione nazionale.

Cergoly divenne un caso letterario quando nel '79 Mondadori pubblicò “Il complesso dell'Imperatore”, un romanzo poetico che racchiudeva la sua visione nostalgica ed infantile del mito asburgico. Il fatto che il volume fosse pubblicato a Milano e che avesse ottenuto un notevole successo a livello nazionale, costrinse la cultura ufficiale triestina a prendere atto della sua esistenza, ma solo pochissimi ne notarono la genialità (tra questi pochi Claudio Magris): il “mainstream” invece continuò ad ignorarlo o a stroncarlo (La Voce Libera, giornale della Lista per Trieste, continuò a definire Cergoly “complessato imperiale”). Si dovettero aspettare quasi vent'anni perché l'opera di Cergoly venisse portata al grande pubblico da Alfredo Lacosegliaz e Moni Ovadia.

Dopo aver pubblicato ancora due romanzi, “Fermo là in poltrona” e ''L'allegria di Thor”, l'intellettuale più controcorrente che Trieste avesse prodotto scomparve nel 1987.
Il miglior modo di descrivere la sua vita, la sua opera, le sue idee e il suo stile, tuttavia, lo formulò lui stesso nella lirica che apriva la raccolta “Inter pocula”: “Mie bandiere,/tessude de tormento,/garrido le ga sempre/contro vento”.

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