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settembre 1382: Dedizione di Trieste all'Austria. Un quadro storico.
Di Zeno Saracino
L'evoluzione
di Trieste, superata la fase della colonia romana, appare tra alto e
basso medioevo strettamente connessa con il suo ruolo di sede
ecclesiastica suffraganea dell'arcivescovato di Aquileia. In altre
parole, le prime basi dell'autonomia triestina appaiono connesse
all'ordinamento vescovile, dalla cui base si sviluppano le premesse
per quella fiera autonomia caratteristica della città.
Specificatamente, all'interno delle lotte per il regno d'Italia, è
uno dei concorrenti alla successione, Lotario, a concedere nel 984 al
Vescovo di Trieste e ai suoi successori l'esercizio pieno ed
esclusivo delle funzioni pubbliche della città, all'epoca
circoscritte alla zona “murata” e a un contado circostante di
quattro chilometri e mezzo. Successivamente, nella seconda metà
dell'XI secolo, un gruppo di abitanti si riunisce in Comune per la
gestione dei beni pubblici, rivendicando una sovranità compresa tra
Longera, Sistiana e il mare.
La progressiva presa di coscienza cittadina
si muove in uno scenario regionale dominato da forze ben più
potenti, a partire dai Conti di Gorizia, di Duino e soprattutto da
una Venezia che vive un periodo di eccezionale espansione economica e
militare. E proprio la Repubblica Marinara impone, durante l'infamia
della quarta crociata che la vedrà saccheggiare Bisanzio, un patto
di fidelitas
(1202). Verso i primi anni del XII secolo la città annovera
all'incirca duemila abitanti.
La crescita della città si accompagna, come in tanti
comuni medievali del periodo, a un moltiplicarsi degli statuti che
giungono a costituire un corpo statuario articolato e corposo che si
può definire ormai completo nel 1318. A seguito del fallimento della
Congiura dei Ranfi (1313), il governo comunale rifiuta il modello
della signoria, preferendo un governo collegiale destinato a
trasformarsi in quel patriziato sinonimo della “vecchia” Trieste.
Verso il 1350 paradossalmente Trieste ha una forma
di governo non così diversa da quella veneziana: il Podestà governa
con tre giudici, affiancato da un Consiglio di 150 cittadini eletti
su base ereditaria e vitalizia; a ciò si aggiunge un Consiglio “dei
sapienti” composto dagli stessi consiglieri scelti ad hoc dai
giudici. Si tratta di un modello che già dimostra una (doppia)
influenza: aristocratica, nella presenza dei giudici e del Podestà;
e oligarchica, grazie alla struttura ristretta del Consiglio. Il
Comune nel frattempo era cresciuto fino a raggiungere le cinquemila
anime con una graduale espansione nella zona dell'attuale Corso
Italia; predominava un'economia basata sui settori del sale, del vino
e dell'olio.
In questo contesto non è la
crescita di Trieste ad attirare le ire della Serenissima, ma la
competizione per il predominio regionale ad opera di due potenze
locali, una vecchia e una nuova: il Patriarcato di Aquileia tenta di
ristabilire i propri privilegi nei confronti dei feudatari; mentre la
casa reale d'Asburgo inizia a farsi notare per forte presenza
territoriale tra Carinzia, Stiria, Tirolo e Carniola.
Tanto
per Aquileia, quanto per gli Asburgo questo piccolo Comune
affacciato sul mare ha un'importanza strategica e ideologica; e prima
che possano annetterlo ai propri domini, Venezia muove d'anticipo. Le
truppe veneziane invadono il contado di Trieste, la cingono
d'assedio: la milizia urbana viene facilmente sconfitta e la città
obbligata a firmare un nuovo patto di subordinazione.
In quello
stesso anno – il 1369 – Trieste si propone agli Asburgo per la
prima volta, dichiarando ai duchi che i territori triestini sono loro
“domini
naturales et hereditarii”.
Ma la casa reale non interviene, preferendo mercanteggiare con
Venezia.
Ciò non di meno è questa prima guerra a sancire una svolta
nella storia della città, perchè le antipatie nei confronti della
Serenissima crescono larghissimamente.
La sconfitta della flotta veneziana ad opera di quella genovese
(1379) e le alterne vicende della guerra di Chioggia consentono a
Trieste di riconquistare l'autonomia umiliata dai patti di
subordinazione. Il Consiglio triestino guarda pertanto a come
consolidare la propria libertà, prima che la Serenissima riacqusiti
forza e insanguini nuovamente le strade cittadine. Il primo tentativo
è nei confronti del Patriarcato di Aquileia (luglio 1380); una
potenza molto più vicina e “amica” rispetto agli Asburgo. Ma il
tentativo funziona a metà; da un lato, quando ve ne sarebbe
necessità, non giungono aiuti; inoltre il Patriarca, il principe
tedesco Marquardo, muore l'anno successivo (3 gennaio 1381).
Trieste
ritorna pertanto a guardare agli Asburgo; e di propria volontà,
tanto “in” autonomia, quanto “per” l'autonomia, elabora un
atto di dedizione. Il primo giuramento verso il duca Leopoldo viene
stipulato nell'agosto del 1382; la dedizione verrà poi accettata
dalla casata d'Asburgo a settembre.
Si tratta di una mossa
significativa non solo per l'atto della dedizione, ma per il suo
destinatario: a differenza che con Aquileia o con i comuni medievali,
il riferimento stavolta è un'autorità “imperiale”. Non si
tratta più di un doge, di un Podestà, persino di un'autorità
ecclesiastica: gli Asburgo sono l'incarnazione stessa di un potere
per sua natura sovranazionale. Un'autorità che supera di slancio le
diverse entità rionali, cittadine, comunali, persino regionali.
Si
è cercato lungamente di svalutare la Dedizione comparandola ad altri
patti di subordinazione compiuti con Venezia o con gli stati vicini.
Tuttavia solamente nel caso degli Asburgo la Dedizione è nei
confronti di un'entità sovrastatale, capace di superare le
“piccolezze” dei governi locali.
In tal senso Trieste
conquista per la prima volta una dimensione europea, esplicitamente
preferendo un principato territoriale che già esercitava il suo
dominio su più popoli e più etnie. Contemporaneamente
quest'identica scelta consente a Trieste di conservare la propria
autonomia, i propri privilegi, le proprie consuetudini:
dall'infinitesimamente grande degli Asburgo deriva
l'infinitesimamente piccolo dell'autonomia di Trieste. Dopo un
periodo di stasi legislativa che corrisponde non a caso all'egemonia
veneziana, Trieste riparte ad approvare leggi e ad aggiornare il
proprio corpo statuario, delineando le basi di quello che diverrà il
Patriziato dell'età moderna.
E riconnettendosi
all'autonomia di Lotario – legata al potere vescovile – sono
proprio i festeggiamenti religiosi nell'occasione di San Giusto,
all'epoca festività del 2 novembre, a essere un'occasione per
esibire pennoni e bandiere d'un colore nuovo: bianco e rosso,
araldica dell'Austria.
Bibliografia:
Benedetto
Lonza, La dedizione di Trieste
all'Austria, Trieste, Libreria
internazionale Italo Svevo, 1973
1382: appunti sulla
dedizione di Trieste al Duca d'Austria,
testo della conferenza tenuta il 16 ottobre nella sala “Silvio
Benco” della Biblioteca Civica di Trieste, Italo Svevo, 1982
Paolo Cammarosano, Trieste nell'Italia delle città e la Dedizione all'Austria del 1382 in Medioevo a Trieste: istituzioni, arte, società nel Trecento: atti del convegno, Trieste, 22-24 novembre 2007
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