Di Zeno Saracino
Centodue
anni fa, alle ore 6.44 del 1 novembre 1918, un tuono breve e smorzato
rimbombò nel porto militare di Pola/Pula/Pulj. La SMS Viribus Unitis
dapprima sbandò vistosamente, poi iniziò a imbarcare a vista
d'occhio, fino a quando l'acqua raggiunse il ponte e all'improvviso
si capovolse con una rapidità descritta come “impressionante”
dai testimoni.
Bastarono solo dieci minuti, affinché
l'orgogliosa corazzata si rovesciasse: la carena esposta, le 4 eliche
visibili in una nuvola di fiamme e rottami sparsi. Tra le urla dei
marinai travolti e il singhiozzare dei feriti, l'alba presentò il
conto di oltre 300 morti, tra cui lo stesso comandante Janko Vuković de Podkapelsky.
Mentre
l'equipaggio salvatosi a bordo delle scialuppe si affannava a
soccorrere i feriti, due uomini rimasero in disparte: avvolti in tute
subacquee, sorvegliati a vista. Si trattava dei due ufficiali della
Regia Marina Italiana, Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci,
responsabili dell'attentato. Rossetti aveva posizionato sullo scafo
della Viribus alle ore 5.30 oltre cento kg di tritolo regolando lo
scoppio per le ore 6.30; successivamente un proiettore aveva
individuato i due attentatori che erano stati portati a bordo della
Viribus Unitis e dopo aver avvertito il capitano di un “possibile
pericolo”, erano iniziate le evacuazioni. Il ritardo dello scoppio
aveva tratto in inganno l'equipaggio che era parzialmente risalito
dopo il falso allarme.
I due ufficiali si erano infiltrati
nel porto militare di Pola attraverso la “mignatta”, nomignolo
per un mezzo di locomozione subacqueo noto come “Torpedine
Semovente Rossetti”. E proprio Rossetti aveva progettato il mortale
ordigno attraverso la modifica di un siluro tedesco G 7. Si trattava
di un corpo cilindrico di 8 metri, movimentato da una macchina ad
aria fredda “Schneider”, con due eliche quadripale. Il centro
della mignatta conteneva un serbatoio di aria compressa che
consentiva, tramite una pressione di 250 atmosfere, di muoversi a 2
nodi, giungendo fino a 10 miglia di distanza. L'operatore solitamente
non sedeva sopra il siluro, posizione quanto mai scomoda, ma si
aggrappava con la sola testa a pelo dell'acqua a fianco della
Mignatta, tramite apposite maniglie.
La mignatta
disponeva a sua volta di due cariche di esplosivo, ciascuna
consistente in un cilindro di acciaio con 175 kg di tritolo e una
spoletta ad orologeria regolabile fino a 6 ore.
La disgregazione dell'Austria-Ungheria negli ultimi mesi di guerra - a causa più che del nazionalismo, della fame e povertà che dilagavano nell'impero allo stremo - poneva l'interrogativo di cosa fare della flotta asburgica, la cui politica di “fleet in being” aveva impedito l'agire a sua volta della flotta italiana. L'imperatore Carlo d'Asburgo aveva emanato il 16 ottobre 1918 un proclama che offriva la trasformazione della Duplice Monarchia in uno stato federale. Tra i provvedimenti compariva anche la cessione della flotta imperialregia a una delle componenti della nuova, ipotetica, federazione jugoslava, ovvero i Croati e gli Sloveni.
Il 17 ottobre cessava per l'Austria la guerra sul fronte navale; a seguito del proclama molti marinai, esausti per cinque anni di conflitto, tornarono a casa. L'Intesa, a sua volta, non aveva bene “inteso” cosa stesse succedendo, sebbene gli inglesi intercettassero il traffico radio degli storici avversari. Fu così che il 31 ottobre, alle ore 8,50 GMT (Greenwich Mean Time), i britannici captarono una comunicazione dalla Viribus Unitis che ordinava a tutte le navi di issare “bandiera croata” per ordine di un “Comitato centrale”. Tra i messaggi che circolavano nella flotta che stava passando di proprietà ci fu anche il messaggio d'addio dell'ammiraglio Horthy a cui seguì un triplice urrà di un operatore radio croato. Come riporta lo storico Paul G. Halpern, l'addetto britannico aveva il senso della storia, perché annotò che “Forse per l'ultima volta nella storia un ammiraglio austriaco ha firmato con il tradizionale K.u.K.”.
L'informazione era ormai ufficiale in Austria: la flotta, dietro ordine di Carlo I, passava agli ordini del Consiglio Nazionale degli Slavi del Sud (Zagabria). Molti dei marinai e ufficiali austriaci rimasero però a bordo per sovrintendere a quest'ultimo passaggio. La nave ammiraglia SMS Viribus Unitis ammainò la bandiera imperiale alle ore 16.45 del 31 ottobre 1918; Horthy cedette allora il comando a un contrammiraglio assai rispettato, Janko Vuković de Podkapelsky, il cui ruolo di comandante provvisorio della flotta durerò solo per le 12 ore precedenti all'attentato. Quando il sole iniziò a calare, la nave inalberò la bandiera jugoslava, salutata da 21 colpi di cannone.
I
fatti giuridici sono ben noti e puntualmente, quando si solleva la
vicenda, risalgono “a galla”: lo Stato
italiano non era formalmente a conoscenza della cessione della Flotta
austriaca agli jugoslavi; lo Stato
jugoslavo non era stato ufficialmente riconosciuto; sotto un profilo
tecnico l'impresa era giustificabile come un'azione militare contro
una forza ostile.
Tuttavia, spogliandosi dei
paraventi giuridici, sappiamo che vi erano spie italiane a Pola, le
quali fornirono la posizione della nave ammiraglia; pertanto
“qualcosa” si conosceva.
Le
navi nella rada di Pola non erano oscurate come in guerra; lo stesso
Rossetti nella relazione ufficiale annotava che “le
tre navi più interne”
erano “completamente illuminate a luce
bianca in coperta e negli alloggi i cui portellini di murata non sono
oscurati”.
E
il fatto che la nave non fosse più in assetto di combattimento viene
confermata ulteriormente nei passaggi successivi della relazione: “Ci
riconoscono come Italiani e ci portano dalla scala di sinistra della
nave. Siamo accolti in capo alla scala da un gruppo di marinai; noi
sentiamo il dovere di gridare: Viva l'Italia! Il nostro grido,
contrariamente alla previsione, è accolto con dimostrazione
piuttosto cordiale e curiosa anziché ostile. Riconosciamo con
sorpresa sui berretti dei presenti i nuovi distintivi Jugoslavi. Ci
viene chiesto in dialetto veneto come siamo arrivati”.
Successivamente
il comandante garantisce loro un posto sulla scialuppa di salvataggio,
quando Rossetti gli ricorda che “la
nostra condizione di belligeranti e l'operazione guerresca da noi
compiuta debbono darci il diritto al rispetto delle nostre persone”.
Sotto il profilo umano, considerando come la
fine del conflitto fosse imminente, l'azione militare appare davvero
come un paradigma dell'“inutile strage”. Trecento marinai sfiniti
da cinque anni di conflitto che ormai consideravano imminente il
rientro a casa tra le braccia di mogli e figli morirono all'alba
dell'armistizio solo perché a bordo di una “preda bellica”. La
nave non era in assetto bellico; e chiaramente, dalla testimonianza
di Rossetti, emerge come i marinai considerassero la guerra finita.
Se non si può addossare tutta la responsabilità ai sub, certo la
cosiddetta “impresa”
di Pola rimane ben poco “mirabile”.
Bibliografia:
Achille Rastelli, L'affondamento della SMS Viribus Unitis: un fatto militare o politico, in Quaderni XVIII, Centro di Ricerche Storiche Rovigno, 2007
Leone Veronese Jr, Imbarcà su la Viribus Unitis: breve storia della Imperial Regia Marina da Guerra Austriaca, luglio, 2003
Lo zio di mia suocera, Giuseppe Gandolfo, di Trieste, aveva servito come marinaio nella K.u.K. Kriegsmarine. Raccontava di essere stato imbarcato sulla Viribus Unitis e che a fine ottobre aveva ottenuto permesso, insieme ad altri triestini per lasciare la nave. Diceva che la nave non poteva costituire assolutamente un obiettivo militare di qualche pericolo per il Regno d'Italia.
RispondiEliminaGentile lettore, potrebbe fornirci altri dati su Giuseppe Gandolfo? Grazie!
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