Il Porto franco di Trieste/Trst/Triest festeggia il suo 302° anniversario

 


Di Zeno Saracino.

La concessione della patente di Porto Franco a Trieste (18 marzo 1719) potrebbe sembrare l'ennesimo atto di un potere centrale benevolo che agisce a favore di Trieste, svegliandola da un plurisecolare letargo a base di patrizi e antiche saline. In realtà Carlo VI d'Asburgo operò una precisa scelta nella concessione dell'esenzione doganale per Trieste/Trst/Triest e Fiume/Rijeka. Un'operazione dettata da ragioni geopolitiche, commerciali, “tecniche” diremmo oggigiorno. Eppure se Carlo VI scelse di preferire Trieste ad altri porti, un ruolo decisivo lo giocarono i triestini stessi che scelsero autonomamente di corteggiare Vienna, di chiedere agli Asburgo un privilegio che risollevasse la città-porto.

In tal senso è possibile tracciare una lunga storia dei viaggi diplomatici dei triestini alla corte dell'impero austriaco tra '600 e '700 alla continua ricerca di privilegi volti non solo alla crescita del porto, quanto alla costruzione di strade che connettessero Trieste all'entroterra, aggirando l'ostacolo del ciglione carsico.
Trent'anni prima del Porto Franco, nel 1690, il conte Francesco della Torre ottenne un'udienza con l'imperatore Leopoldo I nella cui occasione declamò i vantaggi di Trieste e la sua magnifica posizione geografica, naturale base per uno sviluppo portuale.

Nello stesso anno, il 24 luglio 1690, i patrizi triestini Giovanni Francol e Tomaso Giuliani declamarono i vantaggi della città-porto dapprima a Graz e poi a Vienna. La situazione tuttavia era eccezionalmente infelice: Vienna era appena reduce dall'ultimo assedio dei turchi (1683); Leopoldo I era a sua volta impegnato nell'ennesimo conflitto contro gli ottomani (1683-99); e l'Austria stessa soffriva le recrudescenze delle ultime, grandi, pestilenze di fine secolo.

1700: nuovo secolo, nuova delegazione triestina alla corte di Vienna. Il Consiglio comunale aveva incaricato di rappresentarli rispettivamente l’alfiere di San Giusto, Daniele Calò, e il letterato Giovanni Casimiro Donadoni. La coppia di navigati oratori aveva il compito di portare all'attenzione degli Asburgo una lunga serie di richieste connesse agli antichi “Privileggi della città”. Tra queste compariva per la prima volta “l'affare del Porto Franco”. La delegazione rimase a Vienna due anni ponendo le basi per futuri lavori diplomatici e nell'occasione spendendo e mangiando senza ritegno a tale punto che vennero accusati di aver trasformato Trieste in “un cadavere esangue carico di debiti”.

Cionondimeno Trieste incaricò nuovamente Daniele Calò di tornare a Vienna dieci anni dopo (1712); nell'occasione l'alfiere descrisse una Trieste quanto mai lontana dall'essere un villaggio di pescatori. Calò tratteggiò invece l'immagine di una città in decadenza divisa tra abbozzi di nuovi palazzi e opere edilizie e quanto invece sopravviveva di un sistema portuale risalente, nell'impianto generale di moli e magazzini, all'antica Tergeste.
Il porto è “tutto immunito ad onta nell’anno si habbia fatta qualche piciola escavazione, ma che nulla giova al bisogno, e che li muri della città sono molto dirochati”.
Calò lamentò poi i danni causati dal vento di libeccio, ovvero “dai garbini”, mentre rimanevano da restaurare le “muraglie” della Chiesa di San Pietro.

A confronto con le missioni diplomatiche nell'ultimo quarto dei XVII secolo, il settecento si presentava come un secolo di pace dopo il carnaio dei conflitti religiosi dell'età barocca. In questo contesto Carlo VI d'Asburgo, mentre pacificava le frontiere orientali e trasformava lo spauracchio turco in un partner commerciale (Passarowitz, 21 luglio 1718), aveva concesso quell'Editto di Libera Navigazione in Adriatico (2 giugno 1717) richiesto trent'anni prima dai delegati triestini Annibale Conti e Maurizio Urbani (1687).

Quando Carlo VI iniziò a valutare se conferire o meno la patente di Porto Franco alla città di Fiume, Trieste reagì a sua volta: e approntò una nuova delegazione, capitanata dal Barone Gabriele Marenzi e il notaio Giovanni Casimiro Donadoni, che perorarono la causa della città-porto alla corte di Vienna (20 novembre 1717). Due anni dopo Carlo VI siglava la “storica” patente; la missione dei triestini alla corte degli Asburgo aveva conseguito il suo primo, storico, successo.

Fonti: Pietro Covre, La lunga marcia verso il Porto Franco, Trieste, Archeografo Triestino, Serie IV Volume LIX/I, 1999

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