di Luciano Santin
Buon pomeriggio, dober večer, guten Abend,
saluto le intervenute e gli intervenuti, gli enti associati all’iniziativa, come Il Circolo della Stampa, il Club Touristi Triestini, l’Associazione Italia-Austria e ringrazio il Pihalni Orkester di Ricmanje, diretto dal maestro Aljoša Tavčar che dà suggestione e brio a questa cerimonia.
Come tradizione, il 13 maggio ci ritroviamo per ricordare il giorno natale di Maria Theresia d’Austria, signora di Trieste e principale artefice delle sue fortune.
E’ un piccolo gesto simbolico, non c’è l’intento di immaginare un domani che mimi quanto è stato trecento anni fa, ma di trarre, dal passato, un insegnamento per il futuro.
A Trieste ce n’è particolarmente bisogno. La nostra storia patria è stata oscurata e mistificata quant’altre mai, perché il ’900 ha scatenato qui alcuni dei suoi più nefasti esiti. Quella guerra che ha afflitto l’Europa dal 1914 al 1945 – perché in mezzo pace non c’è stata, solo un lungo armistizio, come ebbe a dire il maresciallo di Francia Ferdinand Foch – quella guerra ha segnato profondamente e ripetutamente il territorio, l’economia, la civiltà e più ancora le coscienze dei suoi abitanti.
Genti di diverse lingue e tradizioni, genti venute da lontano, - come Trieste testimonia nei suoi palazzi e nelle sue chiese - genti che avevano saputo a lungo cooperare, crescere individualmente e fare grande la città.
Forse il motto di Scipio Slataper “Fratelli, noi vogliamo amare e lavorare”, era utopistico. Ma certo qui si realizzò un laboratorio multinazionale e multiculturale che potrebbe insegnare qualcosa a un’Europa capace forse di concertare affari, ma non di trovare vera coesione di stati e soprattutto di popoli. E parlo da europeista convintissimo.
L’età d’oro di Trieste, non è un luogo comune, è una realtà fattuale: le riforme e le iniziative di Maria Theresia, il suo spirito di servizio verso le terre amministrate ed i suoi abitanti potrebbero servire d’esempio ai politici dell’oggi.
Fu davvero Landesmutter, madre dei suoi popoli, la sovrana, e verso la fine della sua vita la segnò il rimorso di avere anteposto il bene pubblico alla cura dei suoi stessi figli.
Certo, l’assolutismo illuminato di Maria Theresia non doveva temere altri candidati che potessero sottrarle il trono, carica comunque intesa sempre come un gravoso dovere. Certo non dovette accaparrarsi voti o preferenze in modi più o meno corretti, dimenticando l’interesse comune.
Ma fu nondimeno costretta a impegnarsi contro le pretese di tante teste coronate maschili che non le riconoscevano il diritto di regnare, in quanto donna.
Dovette fare delle guerre, che non voleva, ma che subì. E in quest’epoca in cui scure nubi belliche si addensano nuovamente sul nostro futuro, ricordiamo una volta di più il monito della Friedenkaiserin, imperatrice della pace: “Ogni conflitto comporta sempre il saccheggio dei nostri paesi e delle nostre borse. Ricordiamolo sempre: meglio una pace mediocre di una guerra gloriosa”.
Questo tallero collocato in piazza del Ponterosso, accanto al Canale, asse navigabile della sua “città nuova”, finalmente ricorda in modo dichiarato e tangibile Maria Theresia. Ma dobbiamo rilevare l’assenza di qualunque indicazione in merito, utile a informare i visitatori. E anche i triestini, che spesso ne avrebbero bisogno.
Si diceva della carenza di informazioni. Gli amministratori comunali mostrano di voler puntare sempre di più sul turismo, che, dati alla mano, è un settore in crescita. L’attrattività che Trieste aveva più di cent’anni fa con industrie, commercio, compagnie di navigazione e di assicurazioni, quella forza attrattiva l’ha in piccola parte recuperata grazie alla varia bellezza del luogo. Un boucquet di fiori poggiato su uno scoglio in fondo all’Adriatico, per dirla con Charles Nodier.
I turisti vengono qui, e vengono assetati di conoscenza. Trovano delle fontanelle di sapere, questo tallero ne è una, ma con il rubinetto chiuso. Non c’è nulla che illustri almeno un po’ del tanto che ci sarebbe da raccontare. E questo vale, naturalmente, anche per le altre effigi bronzee disseminate in città.
E’ il caso di dire, al di là del nome, chi è la bella dama che troneggia davanti alla Stazione centrale, chi il signore che con i favoriti e la folta barba divisa, scruta il mare dalle Rive. E illustrare il loro rapporto con Trieste. Ressel, magari qualche visitatore dell’Europa del Nord, sa che ha inventato l’elica, ma perché non gli diciamo anche su quanto ha fatto a Trieste e nel Litorale, in materia di riforestazione? Un tema molto attuale, tra gli incendi carsici e i tagli che si vogliono fare nel bosco Bovedo.
E quel signore che attraversa il canale, a venti metri da qui, James Joyce? Un turista di Caltanissetta, di Debrecen, di Liegi è legittimato a non saperne molto... «Ah sì, quello che ha scritto l’Ulisse, un mattone, mi hanno detto. Ma non era irlandese? Che cose ci fa qui?». Glielo vogliamo dire sì o no?
E’ stato ripetutamente richiesto, anche a livello di Consiglio comunale, un intervento in questo senso. E si è parlato di totem interattivi. Esprimendo un parere personale, i totem li trovo un po’ impattanti. E scomodi. Affiancandone uno a James Joyce, la gente dovrebbe scendere dal marciapiede del Ponterosso.
Una delle soluzioni donateci dall’informatica è il codice QR. Un riquadro stampato di dieci centimetri per dieci – un tacomaco, per dirla alla triestina – che viene inquadrato con il telefonino e rimanda a un sito dove può essere inserita un breve trattazione, ma anche un libro o un’intera biblioteca.
Oggi vediamo i turisti contemplare il diritto del tallero, poi andare a guardarsi il rovescio, senza trovare nulla. Basterebbe un modesto codice QR per farli contenti. Anzi, senza il condizionale, basta, perché ne abbiamo apposto uno, poco fa, e chi vuole può fare la prova. Abbiamo voluto offrire un’idea, uno spunto, un incoraggiamento al Comune. Un piccolissimo gesto, una cosa facile, economica, non ingombrante e deturpante. Vedremo se avrà qualche effetto.
Forse abbiamo commesso un piccolo abuso nei confronti, non dell’amministrazione civica, ma della Regione e della Fondazione Crt, nonché dei privati che hanno contributo alla realizzazione del tallero, perché il monumento non l’ha voluto il Comune, lo sappiamo tutti, il Comune lo ha sostanzialmente subito.
Ricorderete che, quando assieme al Circolo della Stampa, al Club Touristi Triestini, all’associazione Italia-Austria, alla Comunità ebraica alla Società di Minerva, allo Slovenski Klub, e assieme ai greci, ai croati, ai serbi, ai romeni, agli armeni – chissà quanti e quali ne dimentico, dicevo quando da queste associazioni, in tutto una trentina, era stato chiesto di intitolare il Canale a Maria Theresia, il Comune aveva ripetutamente rifiutato. E il sindaco aveva detto: la decisione è politica.
Però forse è per quel piccolo gesto, supportato da un gran numero di adesioni, che la Regione ha scelto di finanziare il monumento.
Dunque è il caso di approfittare di questo incontro per rilanciare la capacità di collaborazione emersa allora. Quella capacità di coinvolgimento attorno a singoli problemi, chiari e semplici, che non richiedano elucubrazioni: il vostro sì sia sì, il vostro no sia no.
La Società Triestina di Cultura “Maria Theresia” ha redatto una lettera chiedendo il completamento dell'arredo urbano relativo al Tallero, con quanto era stato previsto originariamente: l’inserimento di copia delle firme dei sottoscrittori, un'illuminazione alla base del monumento, un "totem" o altro dispositivo capace di illustrarne il senso – vogliamo almeno dire ai visitatori che il dollaro deriva dal tallero? - e anche un'area di rispetto, quale un'aiola o una barriera metallica, a difesa della stessa.
Per il momento l'unica iscrizione posta alla base ricorda gli autori del progetto e basta. Tre nomi che ai numerosissimi turisti che si fanno fotografare qui non dicono ovviamente nulla.
Saremmo lieti se le associazioni che nel 2017 si erano mostrate attente alla storia patria, e coinvolte nel progetto di onorare la memoria di Maria Theresia, volessero sottoscrivere il documento. Glielo sottoporremo. E chiederemo anche di attivare un piccolo circuito informativo corale, a livello di mail, sull’attività di ciascun ente. Forse potrà esserci qualche altra iniziativa capace di riunirci.
Ci rendiamo conto che questi sono tempi di sudditanza, nei quali può risultare difficile esprimere dei desiderata, se si pensa che questi siano in contrasto con la volontà dell’amministrazione pubblica. Mi piacerebbe che questa cosa si facesse – o non si facesse – però il Comune la pensa diversamente, quindi è meglio che non prendiamo posizione. Che non segniamo una nota di demerito a futura memoria.
Mi permetto di dire che, se siamo al punto di non poter esprimere liberamente un’opinione, un parere, una richiesta, per timore che i nostri amministratori la buttino sul politico o se la leghino al dito e ne tengano poi conto nel loro comportamento verso di noi, bene, allora nella nostra democrazia il popolo è meno sovrano di quanto non lo fosse ai tempi di Maria Theresia.
Nel rinnovare, credo a nome di tutti i presenti, gratitudine e, per così dire, dedizione morale, alla memoria di Maria Theresia, ringrazio i presenti, e lascio spazio al Pihalni Orkester e al maestro Tavčar.
Grazie, hvala, danke.
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