Sulla
torretta del Municipio sventola in gran morbin in campo rosso
l'alabarda d’argento proprio quella di Sergio caduta dal cielo.
I gabbiani
planano e svolano in girotondo torno torno alla colonna che tien su
Carlo VI il deluso papà
di Maria Theresia la gran buona madre di Trieste.
Anche
la fontana dei „Quattro Continenti“ butta oggi dalle sue bocche
acqua valzerina e cantarina e la figura
alata in tuba sparge nel mondo la fama dell'Emporio
Triestino.
La
città
è
in gran pavese e le bandiere tutte colori rallegrano i cieli rallegrano le nuvole a rossore dove riposa il dio Triopa in figura
di sole.
Il millenovecentotredici
è
per Trieste, sempre ancora immediata all’Impero, una cifra da
cornice pesante tutta in oro fiorino
teresiano. La città
è
al massimo del suo trafficare
marittimo e terrestre dei suoi commerci e negozi e dei suoi
fondachi.
Per
vedere il mare bisogna salire la vecchia Lanterna perchè questo mare
è
nascosto dalle pance dei vapori, dei bastimenti, dei brigantini, dei
bragozzi e dalle barche
chioggiotte nere di pece argentate di pesce. Non si lavora in porto
ma in «bosco» perchè tanti sono gli alberi in odor di catrame da
formare più
che bosco una foresta. Si lavora si lavora fino
a rompersi la schiena, è
un lavorar «de fadiga de omo» ma si guadagna bene si guadagna
«soldi a capei».
Per
le strade e per le rive un frastornar di carri pieni di «robe»
buone commestibili e soprattutto coloniali; i cavalli forti di
Pinzgau tirano «scaloni» e «tavolazzi» e i carri con le botti
della buona birra del signor Anton Dreher.
La
vita e daghelonai è
bella è
splendida in questa Trieste dalle persiane bianche e dal mare
nascosto.
Si
parte si arriva da Salonicco da Bombay dalle Americhe Oriente e
occidente qui si danno la mano, si viaggia sui sbuffanti treni nel
retroterra imperiale.
Trieste
è
come una grande scatola dove ogni cosa ha il suo giusto posto e ogni
posto ha la sua giusta cosa.
Poi
un giorno soffiar
di bora assassina porta lagrime e sangue.
Dicono
i francesi «tout passe, tout casse, tout lasse».
Sulla
torretta l'alabarda d’argento in campo rosso ha il suo libretto di
pensione.
Ma
oggi chi sa tenere
ancora la sbarra?
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